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RASSEGNA STAMPA
n. 1075
del 07/04/2006
INCHIESTA A ROMA SUI CONTI ELETTORALI DI DI PIETRO
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Ricevo, dalla Calabria, la seguente segnalazione che, per opportuna conoscenza, inoltro a tutti. La magistratura ha aperto un fascicolo d'indagini sul presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro.

Due sono le procure che indagano: la procura di Brescia e la procura di Roma. Il tutto nasce dalle dichiarazioni dell'on. Giulietto Chiesa, il 12 ottobre 2005, al Corriere della Sera: «Si tenga il malloppo, ma voglio risparmiargli il lezzo. Un termine letterale che però in questo caso va a pennello». La goccia che ha fatto traboccare il vaso, infatti, sono stati proprio i finanziamenti elettorali ricevuti da Italia dei Valori. Secondo Chiesa, infatti, «Di Pietro ha subito una degenerazione. Oramai preferisce l'indecenza ai comportamenti decenti. Per questo parlo di malloppo, di soldi. Avrei desiderato che quei finanziamenti fossero adoperati per il partito, Italia dei Valori, invece lui se li tiene per sé e li gestisce in maniera assolutamente discutibile. E’ questo, secondo me, é un atteggiamento inconcepibile, almeno per il mio modo di vedere». Detto questo Giulietto Chiesa, uscì dal partito sbattendo la porta.

La cosa sollevò sconcerto e stupore per i prestigio e l'autorevolezza di cui gode l'on. Giulietto Chiesa, giornalista attento conoscitore del significato delle parole. La parola "malloppo" certamente ha un significato molto diverso dalle parole cassa, fondo, riserva, patrimonio, accantonamento, disponibilità, parole non utilizzate da Chiesa per descrivere il fatto.

A queste dichiarazione ha poi fatto seguito la deposizione dell'ex braccio destro di Di Pietro, l'avv. Mario Di Domenico, il quale solleva alcune perplessità circa la trasparenza e la correttezza con le quali sono stati gestiti i fondi del partito. Ora spetta alla magistratura scoprire la verità e determinare i fatti.

Mi astengo da qualsiasi commento in attesa di conoscere le decisioni della magistratura. Una cosa comunque appare certa. Nel mio piccolo, MAI mi porrei nelle condizioni di poter essere oggetto di infamanti accuse su tali scottanti argomenti. Il rispetto della dignità della persona e del lavoro gratuito di chi opera, lavora e crede in me, mi devono sempre indurre a farmi servitore di costoro, e non padrone, perché nulla mi è dovuto e devo sempre e solo ringraziare per quello, poco o tanto che sia, che fanno per me, quale sia la qualità con cui lo fanno. Il rispetto della LEGALITA' PROGRESSO, delle regole e dei principi contenuti nella "Carta dei valori", in primis, devono valere all'interno dell'Italia dei valori. Poi posso anche pretenderle dagli altri partiti, enti, istituzioni o cittadini che siano.

La vita di tutti i giorni non è un'aula di giustizia. Qui si dialoga con la persona, la si rispetta, non la si calpesta, non la si umilia, non la si "getta via" come un Kleenex, perché intelligente e valida, dopo averla sfruttata, per gelosia, per opportunismo politico o per sete di potere. Lì, se riconosciuta colpevole, invece, la si condanna. Ed un presidente è chiamato a far rispettare, nel partito, questi VALORI, non ad assumere atteggiamenti pilateschi.

Armando Della Bella

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INCHIESTA A ROMA SUI CONTI ELETTORALI DI DI PIETRO

La procura apre un fascicolo sui fatti segnalati dal suo ex braccio destro nel partito. Nel mirino l’utilizzo dei finanziamenti pubblici - Il legale è stato ascoltato per cinque ore dagli inquirenti lombardi

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Le spese elettorali di Antonio Di Pietro, i conti dell’Italia dei valori, la gestione dei finanziamenti pubblici, delle somme offerte dai simpatizzanti sino a presunti prestiti personali: è appena partita l’inchiesta avviata dalla Procura di Roma sui conti del movimento dell’ex Pm di Mani pulite.

Da qualche settimana, in gran segreto, il sostituto procuratore Giancarlo Amato ha aperto un fascicolo su un’articolata denuncia presentata contro Di Pietro e il tesoriere dell’Idv, Silvana Mura, da chi per anni è stato stretto collaboratore del leader, nonché amico e socio fondatore del movimento nato nell’estate del 2000 dalla scissione dai Democratici. Ovvero, l’avvocato Mario Di Domenico che dopo un contenzioso civile per diverse vicende, già nell’ottobre scorso aveva sollevato pesanti interrogativi sulla gestione delle risorse finanziarie del partito accodandosi alle aspre critiche mosse da vari esponenti dell’Italia dei valori, tra cui il parlamentare europeo Giulietto Chiesa. «Avrei voluto che quei finanziamenti - accusava Chiesa - fossero adoperati per il partito, invece lui, Di Pietro, se li tiene per sé e li gestisce in maniera assolutamente discutibile. I cinque miliardi all’anno dovevano andare alle sedi regionali». Stavolta però le accuse contro Di Pietro superano il contraddittorio politico, lo scontro tra correnti interne del movimento e chi, come appunto Chiesa, uscì sbattendo la porta.

Per la prima volta queste accuse si concretizzano in una denuncia penale che investe la magistratura. E non solo romana. Già perché tutto nasce nel novembre scorso quando al terzo piano, in Procura a Brescia, arriva il plico dell’ex braccio destro di Di Pietro. L’incartamento viene trattato personalmente dal procuratore capo Giancarlo Tarquini, che si fa assistere da due sostituti procuratori. I tre analizzano le carte, capiscono che le notizie di reato provengono da chi, come Di Domenico, per anni è stato uomo ombra del leader di quel movimento. Iscrivono il fascicolo a modello unico. E decidono di interrogare il querelante. Appunto, Di Domenico.

Così a fine dicembre il professionista viene convocato in Procura e ascoltato per cinque ore. Con un doppio risultato: i retroscena raccontati sono numerosi ed estremamente delicati, meritano un approfondimento che però deve essere compiuto dalla procura competente per territorio. Cioè quella della capitale. A questo punto Tarquini, e siamo già a febbraio, gira il fascicolo al procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara, inviando tutta la copiosa documentazione, gli allegati e le note integrative depositate dall’avvocato Di Domenico. Gioco forza a piazzale Clodio è ora il sostituto Amato a seguire l’inchiesta. Che forse per un’agenda già fitta di impegni, forse per evitare sovrapposizioni con le elezioni, ha deciso di farsi dire tutto da capo da Di Domenico, ma all’indomani del voto. Dopo di che deciderà se, e chi, eventualmente iscrivere nel registro degli indagati.

La reazione di Di Pietro contro l’ex collaboratore è furibonda. Teme una speculazione elettorale. Stigmatizza «l’ennesima sciagurata iniziativa» giudiziaria di un grafomane - così lo etichetta l’ex pm - che in sede civile ha perso qualche battuta anche se il procedimento principale è tuttora pendente al tribunale di Roma (giudice Manzo). Il contenuto della denuncia che da Brescia è passata a Roma è ovviamente top secret ma sembra che l’ex collaboratore metta in discussione sia la gestione delle risorse, sia i finanziamenti elettorali ottenuti. A iniziare dalle somme per quasi due milioni di euro che, secondo Di Domenico, sarebbero state stornate dal bilancio di partito per essere utilizzate in personali campagne elettorali senza le autorizzazioni previste dallo statuto. E ancora: Di Domenico si interroga se sia normale che un partito ottenga finanziamenti pubblici quando a gestirli non è una pluralità di soggetti ma un unico socio, perché risulterebbe tale, ovvero Antonio Di Pietro.

Quanto gli addebiti mossi siano fondati spetta al Pm Amato stabilirlo. Di sicuro l’avvocato Di Domenico era considerato «esperto» in materia se proprio a lui Di Pietro si rivolse per predisporre numerosi atti. Per anni ha potuto inoltre godere di un osservatorio privilegiato sui conti dell’Italia dei valori. «Mi pare strumentale - reagisce Di Pietro - e anche un po’ odioso ricorrere a certi mezzi calunniosi di lotta politica a pochi giorni dalle elezioni». Di sicuro, speriamo presto, si arriverà a una verità processuale: se le accuse dovessero rivelarsi infondate, l’indagine si ribalterà sull’autore della querela, ovvero l’ex collaboratore, non più amico, di Antonio Di Pietro.

Google news, Gian Marco Chiocci, 7.4.2006