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RASSEGNA STAMPA
n. 1188
del 06/11/2007 PERCHÉ DENUNCIO DI PIETRO di Laura Maragnani
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Dietro l’italia dei valori Di Domenico ha fondato l’Idv con l’ex pm. Poi ha visto bilanci che non gli sono piaciuti. Qui spiega. ___________________________________________________________________________ «Signor presidente della Repubblica, signor ministro di Grazia e giustizia, signor presidente del Consiglio...». È il 9 ottobre 2006 quando Mario Di Domenico da Capistrello (Aq), 48 anni, avvocato, firma questa lettera. Otto pagine, destinate anche al pm romano Giancarlo Amato e al procuratore capo di Brescia Giancarlo Tarquini, in cui ipotizza «diverse condotte penalmente rilevanti» (dalla truffa al falso in bilancio) accusando un ministro in carica: Antonio Di Pietro. Lo stesso Di Pietro con cui, il 26 settembre 2000, Di Domenico aveva costituito l’Italia dei valori. Lo stesso Di Pietro che ora gli dà pubblicamente del «grafomane» e del diffamatore. A fianco a fianco, i due erano comparsi davanti al notaio Bruno Cesarini di Roma. Ora si parlano solo attraverso gli avvocati. Di Pietro è presidente dell’Idv con poteri assoluti. E Di Domenico? «Mi hanno estromesso da tutto. Forse perché cominciavo a fare troppe domande sui bilanci e sui soldi». Prima di firmare la lettera a Giorgio Napolitano, Di Domenico aveva fatto un esposto alla procura di Brescia. L’inchiesta è stata dirottata a Roma, dove il pm ha chiesto l’archiviazione. Ora deve pronunciarsi il gip. «Qui ci sono in ballo oltre 20 milioni di euro di finanziamenti pubblici» accusa l’avvocato. «L’Italia dei valori non è un partito come gli altri, ma un premeditato gioco di scatole cinesi grazie a cui c’è il sospetto che Di Pietro abbia creato un impero immobiliare». Accuse che vengono da uno che con l’attuale ministro ha vissuto per anni a gomito a gomito, fino a diventare il suo avvocato in alcune cause («Ancora mi deve 16 mila euro»). Il sodalizio politico fra i due risale al 1998: quando a San Sepolcro si costituisce l’Italia dei valori con Di Pietro, Elio Veltri, i parlamentari della Rete, quasi 250 persone in tutto, Di Domenico c’è. C’è quando Di Pietro si unisce ai Democratici, quando litiga con i Democratici, quando si ritrova solo. Ricorda: «Nel 2000 mi ha chiamato: predisponi uno statuto, facciamo Italia dei valori per conto nostro. Etica e morale anzitutto». Pronti, via: l’Italia dei valori, quella dei 250 soci, si scioglie il 23 settembre. Il 26 settembre nasce la nuova Italia dei valori con tre soci tre. Di Pietro presidente, Silvana Mura tesoriera, Di Domenico segretario: «E subito ho notato cose strane». Per esempio l’assegno del Banco di Napoli, importo 50 milioni di lire, da lui destinato all’Italia dei valori. Non trasferibile. «È la cifra che ciascuno dei soci doveva versare per finanziare l’Idv. Ma nel bilancio 2001 non risulta nulla: né i loro versamenti, né il mio assegno. Finito dove? Incassato da chi?». Di Domenico cita poi il bilancio 2002, presentato alla Camera come «approvato all’unanimità dai soci»: «Io ho visto solo una bozza. La delibera di approvazione è del 31 marzo 2003, nella sede di Busto Arsizio. Io quel giorno ero a Roma a fare campagna elettorale con Gasbarra». E allora? «Allora ho cominciato a fare domande, a dissentire. Risultato: il 5 novembre 2003 mi sono dimesso dall’incarico di segretario per non essere ritenuto responsabile di illeciti che, in quanto segretario, non potevo non sapere. Nel luglio 2004 Di Pietro mi ha fatto espellere dal partito». Risatina. «Ma perché espellermi, se mi ero già dimesso? Perché, se non per screditare, insieme a me, le denunce che stavo facendo?». Denunce, stando alla missiva a Napolitano e agli esposti in procura, per importi rilevanti: «In occasione delle europee del 2004 fu chiesta alla Bnl di Roma un’apertura di credito di 1 milione e 900 mila euro per la campagna elettorale. Ma il candidato Achille Occhetto ha avuto solo 50 mila euro di rimborso, Giulietto Chiesa 25 mila, altri ancora meno» dice l’avvocato a Panorama. «Ho cominciato a chiedere: ma come vengono gestiti i soldi? Chi decide? Sono stato espulso». Cacciato dal partito, allontanato dall’associazione (terza socia ne è ora la moglie di Di Pietro, Susanna Mazzoleni), l’ex segretario inizia a promuovere cause su cause. Nell’autunno 2005 si rivolge alla procura di Brescia: «E lì ho scoperto l’esistenza della Antocri». È l’immobiliare (Panorama 43) con cui Di Pietro ha acquistato due appartamenti, uno a Milano nel 2004 e uno a Roma nel 2005, per poi affittarli al partito. Dai bilanci della società risulta che il ministro ha versato nelle casse sociali, a titolo di prestito, 1 milione 183 mila euro in tre anni. «Vogliamo scoprire da dove vengono tanti soldi» ripete Di Domenico. Qualcuno lo ha chiesto, via blog, al ministro in persona. Nel gennaio 2007 lui risponde citando «regolari mutui bancari» e «denaro che avevo a disposizione (a seguito della vendita del mio ufficio di Busto Arsizio e dei miei stipendi da parlamentare prima italiano e poi europeo)». Giura: «Nessun denaro del partito è stato utilizzato per acquistare i predetti immobili». Anzi, garantisce di avere personalmente destinato all’Idv «la quasi totalità del denaro che ho ricevuto come risarcimento (alcune centinaia di migliaia di euro) per plurime diffamazioni e calunnie subite nel corso degli anni», oltre a «tutte le speciali indennità» ricevute dal Parlamento europeo: «Circa 50 mila euro l’anno». Nel bilancio dell’Idv, approvato dallo stesso Di Pietro, risultano altri versamenti: 2001, Claudio Belotti per 19 milioni di lire; 2002, Di Pietro per 15.493,71 euro, poi rimborsati; 2005, il coordinatore nazionale Felice Belisario per 13 mila euro. Dal 2006 i parlamentari neoeletti «contribuiscono mensilmente per un importo di euro 1.047,50 ciascuno». Non figura altro. E allora, avvocato? «Nel 2002, quando eravamo ancora amici, ho assistito Di Pietro nell’acquisto di un appartamento a Roma. E poco tempo prima lui aveva comprato un appartamento a Bruxelles. Come ha fatto, tra il 2003 e il 2005, a disporre di 1 milione 200 mila euro extra?». Ha trovato risposte? «Le ho chieste alla procura di Roma. Il 27 luglio 2006 ho chiesto anche che la Finanza sequestrasse la contabilità del partito. Non mi risulta sia stato fatto. In compenso il 2 agosto la Guardia di finanza ha sottoposto me ad accertamento fiscale. Ho capito che rischiavo il massacro. E allora ho preso carta e penna»: signor presidente della Repubblica, signor presidente del Consiglio, onorevoli tutti... Panorama, 2.11.2007 |