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RASSEGNA STAMPA
n. 1208
del 02/12/2007
IL VIGILE CASSIERE CHE RUBAVA SULLE MULTE
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Peculato e accesso abusivo al sistema informatico. Reato, quest’ultimo, aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale. Sono le accuse contenute nell’ordinanza firmata dal Gip Franca Borzone e notificata ieri mattina a Gustavo Garifo (foto), 57 anni, funzionario della polizia municipale di Genova con mansioni di responsabile dell’ufficio Cassa del reparto contravvenzioni. Nonché consigliere provinciale e capogruppo dell’Italia dei valori.

Garifo, ora agli arresti domiciliari, secondo l’accusa rappresentata dal sostituto procuratore genovese Francesco Pinto, entrava nel sistema informatico dell’Ufficio contravvenzioni grazie alla password in suo possesso (era responsabile del controllo di tutti gli atti di quel reparto). Modificava la ricevuta elettronica redatta da personale del suo ufficio per far figurare un importo minore di quello effettivamente versato da un qualsiasi cittadino al momento del pagamento di una multa.

Dopodiché non gli restava, sempre stando alle ipotesi dell’accusa, che prelevare dalla busta, dove veniva temporaneamente custodito il denaro versato dal cittadino, la differenza tra quanto effettivamente pagato e quanto il funzionario della Municipale indagato aveva fatto figurare nella ricevuta elettronica.

Un’indagine che il pm Pinto ha fatto condurre alla sezione di polizia giudiziaria della Municipale dal 9 luglio a metà settembre. Tre mesi in cui sono stati analizzati gli accessi al sistema informatico dell’Ufficio contravvenzioni, situato nella zona di Sampierdarena. In questo periodo di tempo il guadagno illecito per Gustavo Garifo, difeso dall’avvocato Ersilio Gavino, sarebbe stato di circa 15.000 euro. Impossibile conoscere in assoluto l’entità dell’ammanco per l’erario, visto che l’inchiesta ha preso in esame solo tre mesi di attività dell’indagato, che è responsabile da anni dell’Ufficio cassa del reparto contravvenzioni.

Prima di arrivare alla richiesta di arresti domiciliari il sostituto procuratore Pinto ha fatto mettere a confronto i giorni di presenza in servizio di Garifo con quelli in cui il sistema informatico registrava gli accessi che modificavano gli importi dei pagamenti effettuati dal cittadino. Era emerso che ogni volta che il funzionario accusato era in ufficio si verificavano le modifiche illecite alle ricevute elettroniche. Ma non c’era un indizio sufficiente ad attribuire a lui stesso l’utilizzo della password.

Così, a metà agosto, il magistrato della pubblica accusa ha voluto disporre un’ulteriore prova dell’infedeltà dell’indagato. Con una circolare, redatta ad arte, dal comando di polizia municipale sono stati attribuiti nuovi codici segreti di ingresso al sistema informatico. Dal giorno seguente alla modifica delle password il programma di registrazione delle ricevute elettroniche ha accertato nuove modifiche degli importi di quanto sborsato dai cittadini per il pagamento di multe da infrazione stradale. E questo è stato sufficiente a far scattare il provvedimento dei domiciliari. L’inchiesta era nata da un semplice raffronto, effettuato da uno degli addetti al reparto contravvenzioni, tra quanto era stato da lui battuto al computer all’atto di un pagamento del cittadino e quanto effettivamente la ricevuta elettronica (modificata fraudolentemente) riportava il giorno successivo.

Ieri gli investigatori hanno effettuato perquisizioni nell’abitazione di Garifo, nel suo ufficio al nono piano dell’edificio dove ha sede il comando di polizia municipale, a Sampierdarena. E anche presso il consiglio provinciale, che si riuniva proprio ieri mattina (e al quale, ovviamente, Garifo non ha preso parte).

La notizia ha suscitato scalpore tra gli amministratori locali genovesi. Carmen Patrizia Muratore, consigliere regionale dell’Italia dei valori, sottolinea che «Garifo, che si era candidato senza iscriversi alla nostra lista, si era trovato, per un errore di calcolo delle preferenze, a sedere in consiglio provinciale. Il Tar ligure, nei giorni scorsi, ha accolto il ricorso, presentato da una candidata non eletta. Questa sentenza lo avrebbe fatto decadere dall’incarico».

Il Secolo XIX, 4.10.2007