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RASSEGNA STAMPA
n. 1225
del 16/02/2008
MA DI PIETRO CHE CI AZZECCA?
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Se la scelta degli alleati è la cartina di tornasole del profilo del Pd, c’è da stare freschi. Walter Veltroni ha rifiutato in blocco l’intera sinistra massimalista. Ha posto un aut aut a socialisti e radicali: dentro il Pd o fuori. Mentre con Antonio Di Pietro si mostra magnanimo. Ha messo in piedi una trattativa che magari alla fine permetterà all’ex pm di correre con il proprio simbolo e collegato con il Pd.

Eppure, Di Pietro è un personaggio ingombrante. Intanto non è sicuramente più affidabile di socialisti e radicali, anzi. Le cronache del governo Prodi dimostrano che le polemiche sollevate dal ministro delle Infrastrutture con tanto di scenate plateali in Consiglio (in una riunione a Palazzo Chigi rimproverò ad Alfonso Pecoraro Scanio di avere dei collaboratori «culattoni»), sono state sicuramente più numerose di quelle montate dai seguaci di Marco Pannella ed Enrico Boselli.

Sul piano dei comportamenti non ne parliamo, basta leggere il dossier raccolto da Radio radicale: l’ex pm più famoso d’Italia è diventato un immobiliarista grazie alle sedi dell’Italia dei valori acquistate con i soldi del finanziamento pubblico e intestate a parenti e amiche. Insomma, ha gestito il suo partito come una proprietà, in stile Mastella.

Infine c’è la questione programmatica: con Di Pietro alleato il Pd non potrà mai azzardare alcun tipo di riforma del sistema giustizia in Italia. Sarà completamente paralizzato sul tema. Non è un handicap programmatico da poco per Veltroni.

E, allora, perché il leader del Pd ci tiene tanto all’alleanza con Di Pietro? La verità è che l’ex pm si porta dietro un sistema di alleanze che fanno comodo al Pd: da Beppe Grillo al Club Santoro, a tutto il giro di Micromega di Paolo Flores d’Arcais. Una serie di ambienti che forse non porteranno un voto, ma possono fare male in campagna elettorale.

Veltroni, che ha messo nel conto scontri furiosi con sinistra massimalista, radicali e socialisti, vuole evitare di aprire un altro fronte. E Di Pietro, in fondo, può diventare una garanzia e uno scudo per tenere a bada il caravanserraglio giustizialista. Non per nulla i maggiori sostenitori dell’alleanza con l’ex pm sono i prodiani.

Un dato su cui il leader del Pd dovrebbe riflettere: perché se da una parte Di Pietro può portare qualche voto (i sondaggi lo accreditano del 4 per cento), in prospettiva la presenza dell’ex pm può diventare un macigno sulla strada di ogni possibile intesa con Silvio Berlusconi. Ipotesi che è nei disegni di Veltroni, ma sicuramente non in quelli di Di Pietro e di Prodi. (Augusto Minzolini)

Panorama, 21.02.2008