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EDITORIALI E COMUNICATI
n. 1244
del 24/05/2004 NEL RICORDO DI GIOVANNI FALCONE
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Intervento inviato alle redazioni locali ___________________________________________________________________ Ricordare Giovanni Falcone, ad oltre dieci anni dalla sua morte, rappresenta, per me come credo per ogni cittadino italiano, un momento di grande riflessione interiore nell’ambito del quale, il nostro senso civico per le Istituzioni e per lo Stato viene risollecitato e si rinvigorisce grazie all’esempio che questo grande magistrato ha saputo dare con la sua vita, il suo lavoro e, purtroppo, la sua morte. Non c'è stato uomo in Italia che abbia accumulato nella sua vita più amarezze di Falcone. E' stato sempre ostacolato nelle sua aspettative come consigliere istruttore, come procuratore di Palermo, come candidato al Csm, e come procuratore nazionale antimafia. La sua fiducia e la sua amicizia sono state spesso tradite con determinazione e malignità. Ebbene, dopo la sua morte, spesso i convegni e le commemorazioni hanno visto la presenza di "amici" e di uomini politici che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo aveva colpito. Fu un eroe disperato, come Borsellino e gli altri giudici e poliziotti sacrificati dallo Stato in una lotta che lo Stato non voleva e probabilmente non vuole vincere. Tempo fa il presidente del Senato Pera, ha affermato che Falcone "antepose a tutto l'indipendenza e l'autonomia della magistratura" senza ricordare che proprio per questa indipendenza e autonomia morì. La politica, oggi più di allora, ha sempre desiderato la magistratura "sensibile" alla ragion di Stato, agli equilibri di governo, alla difesa dello status quo, alle convenienze dei più forti. Giovanni Falcone, invece, è stato sempre sensibile soltanto all'indipendenza e all'autonomia della sua funzione: erano, per lui, valori ineliminabili. Non equivalevano a un privilegio di casta, né ad un riconoscimento che declina una sostanziale irresponsabilità, come qualcuno della attuale maggioranza di governo oggi si ostina ad affermare. Al contrario, pensava che autonomia e indipendenza fossero le gravose responsabilità che la Costituzione ha affidato al magistrato per garantire l'imparzialità del giudizio, l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l'efficienza della macchina giudiziaria. Falcone sentiva l'indipendenza del magistrato come missione e risorsa; come il segno stesso, costitutivo, della sua identità di servitore dello Stato, era l’alimento essenziale del principio costituzionale dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e, per questo, diventò un "corpo estraneo" da bocciare, distruggere, calunniare. Quanto la storia insegna e quanto essa si ripete nella sua evoluzione fino ai giorni nostri. La sua principale caratteristica e punto di forza nel suo lavoro era la sua “sicilianità”, qualità che rivendicava con orgoglio e dignità. Era nato nel centro di Palermo, in un quartiere fradicio di povertà e di storia. I mafiosi che combatteva erano stati suoi compagni di gioco, parlavano come lui, conosceva il significato delle loro parole, ciò che stava dietro alle parole di un palermitano". Era la verità e i mafiosi che lo hanno ucciso lo sapevano, lo hanno sempre temuto ma rispettato. Falcone parlava la lingua siciliana, guardava alla mafia con occhi esperti e conosceva molto bene gli inganni del governo. Ma lo muoveva un'autentica e moderna ricerca della verità, ed in questo senso, mi si perdoni la citazione, simile in certo senso a Antonio Di Pietro nell'inventare prima da dilettante poi da maestro nuove e più attrezzate forme di indagine, ma sempre pronto a buttarsi come un ragazzo nella caccia al delitto. Nel suo tenace lavoro più volte emergeva il rapporto tra politica e mafia. Sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo. Il terreno su cui possono accordarsi è la spartizione del denaro pubblico, il profitto illegale sui pubblici lavori. Mai credo avrebbe accettato una convivenza tra Stato e mafia, il "quieto vivere" che temo oggi abbiamo sotto gli occhi. Non avrebbe sicuramente condiviso l’opinione del ministro Lunardi quando afferma che con la mafia è necessario convivere. E, appare quanto mai singolare, che il Polo, in Sicilia, possa risultare, come accaduto alle ultime elezioni politiche del 2001, vincitore in tutti i collegi elettorali. Oggi Palermo è più silenziosa che mai. La mafia non spara più a Palermo ma sembra comandi quanto e più di prima. L'ultimo pentito di un certo spessore risale al 1997 ed è Angelo Siino. I più esperti analisti di questi fenomeni, dicono che quando non si parla o non si legge più di mafia è perché essa ha il controllo della situazione, non perché sia stata sconfitta. Quando torna la convivenza, i giornali dedicano sempre meno spazio alla mafia.
L'omertà sembra regnare nei Palazzi della politica e degli affari. Tempo fa il procuratore Piero Grasso ha denunciato che il "sistema" degli appalti e le gare per i grandi lavori registrano regolarmente ribassi dello 0,01 per cento, praticamente nulla. La mafia si avvale delle lentezze partitocratiche, della debolezza delle istituzioni, della corruttela sempre più diffusa nella società politica, dell'infiltrarsi nelle amministrazioni locali, nelle Unità sanitarie, negli assessorati che appaltano i lavori pubblici, nella magistratura e perfino nello Stato. Il vuoto la favorisce. La mafia desidera il vuoto per poterlo riempire di contenuti. Ma nella commemorazione di Giovanni Falcone, non possiamo non ricordare anche Antonio, Vito e Rocco, i tre angeli custodi che fino all’ultimo scherzavano e sfrecciavano armi in pugno a bordo delle blindate per scortare il giudice Giovanni Falcone e altre "personalità a rischio". Uomini della Stato, uomini in divisa, che, senza timore, rischiavano la propria vita. Anche a questi coraggiosi servitori dello Stato va tutta la nostra riconoscenza. Il boss Buscetta, al suo cospetto, un giorno gli disse: "L'avverto, signor giudice. Dopo quest'interrogatorio lei diventerà forse una celebrità, ma la sua vita sarà segnata. Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. E' sempre del parere di interrogarmi?". Lui lo interrogò. Sapeva che la sua vita era segnata ma era disperatamente siciliano. Il terreno, invece, era pronto per l'ultimo atto. La mafia doveva solo presentare il conto. Qualcuno da Roma, da un ufficio delle Istituzioni, telefonò avvisando, chi di dovere, che Falcone era su quell’aereo. Come aveva previsto Buscetta. Come molti, troppi politici e uomini di Stato, non hanno saputo o voluto prevedere. Armando Della Bella - Coordinatore di Cittadini Attivi |