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RASSEGNA STAMPA
n. 1441
del 22/01/2009
TONINO E SOLDI DELLA CONTESSA
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Finanziamenti Nel 1995 l’erede della dinastia Borletti versò un contributo a Di Pietro. Ma non è chiaro che fine abbia fatto. Perché l’ex pm in due dichiarazioni...

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Correva l’anno 1995 quando la contessa che viveva a Londra proclamò: «Soltanto quei due possono cambiare l’Italia». I tempi erano difficili, la Prima repubblica finiva in macerie, il nuovo avanzava ma a stento. Romano Prodi girava in pullman l’Italia e Antonio Di Pietro, appena dismessa la toga, ancora meditava se buttarsi in politica. Fu allora che Maria Virginia Borletti, detta Malvina, la milanesissima erede delle macchine per cucire «Borletti, punti perfetti», decise che era venuta l’ora di dare il suo personale contributo al cambiamento.

Il 22 maggio, davanti all’avvocato londinese Claudio Del Giudice, in Great Eastern street, firmò l’atto di donazione più straordinario nella storia della Repubblica: il 20 per cento dell’eredità del padre Mario sarebbe andato a Romano Prodi e ad Antonio Di Pietro, «le persone che più hanno da dire al nostro Paese e che riflettono la miglior parte degli italiani». Sette miliardi di lire in due, fu la stima dell’epoca: 3,5 miliardi a testa che avrebbero potuto, calcolarono preoccupati figli e fratelli, diventare ancora di più.

E infatti chiusero i cordoni della borsa appena possibile. Ma di soldi ne erano già usciti tanti: 1,5 miliardi che i beneficiari giurarono di avere accortamente investito in attività politica. Fino al colpo di scena del 9 gennaio scorso, quando su Libero Antonio Di Pietro ha illustrato la destinazione di 300 dei 954 milioni da lui incassati dalla contessa: acquisto di case. Possibile?

Da Londra arriva un «no comment». Non parla la contessa che voleva «cambiare l’Italia», né i fratelli che le contestarono la donazione, e neppure i figli Federico e Francesca, quelli che protestarono: «Sprechi i soldi». Alessandro Manusardi, il commercialista milanese che all’epoca seguiva gli affari italiani di Malvina, si sente però di «escludere in maniera assoluta che l’obiettivo della signora fosse il finanziamento di qualsivoglia acquisto immobiliare altrui».

Il finanziamento era tutto politico e come tale è stato regolarmente denunciato alla Camera dei deputati sia da Prodi sia da Di Pietro. Prodi passa all’incasso il 19 ottobre 1998, 10 giorni dopo aver lasciato Palazzo Chigi: 198.479 sterline e 22 pence, che al cambio corrente facevano 545.817.855 lire, pagati a Ginevra da un conto Ubs. Esentasse, visto che Prodi aveva accettato la donazione solo per i fondi depositati oltreconfine e poteva dunque avvalersi della legge 346 del 1990 che esclude dalla tassazione le donazioni liquide fatte da residenti all’estero.

Non si hanno dettagli sulle trattative con Di Pietro, ma sono note le date e gli importi dei versamenti: 571 milioni il 15 giugno 1998; altri 83 milioni il 13 agosto; terza tranche di 300 milioni il 19 marzo 1999. Totale dichiarato alla tesoreria della Camera: 954.317.014 lire.

E qui cominciano le pene di Manusardi, alle prese con il 740 della contessa. In base alla legge può detrarre solo le donazioni ai partiti, non quelle ad personam; dunque si mette disperatamente in caccia di una ricevuta che attesti il passaggio delle somme dai due politici ai partiti di riferimento.

Da Prodi ne ottiene una: le 198 mila sterline sono state girate al Comitato Italia che vogliamo, che ne rilascia regolare quietanza. Ma Di Pietro? «Ho parlato più volte col suo tesoriere, Renato Cambursano» racconta il commercialista. «Non sono mai riuscito a ottenere nemmeno un pezzo di carta».

Della vicenda Panorama si occupa già nel giugno 2000. Cambursano, intervistato all’epoca, è lapidario: «Né l’Italia dei valori prima, né i Democratici poi hanno avuto alcun contributo proveniente dalla donazione Borletti».

A bilancio dunque non è mai stato iscritto alcunché. Anzi, «a quei tempi io ero sempre con Di Pietro, ma mai l’ho sentito dire che aveva incassato 1 miliardo dalla contessa» giura Elio Veltri, ex sodale e oggi avversario di Tonino.

Anche Di Pietro e Prodi, nel frattempo, non vanno più d’amore e d’accordo. Di Pietro nel 2000 esce dai Democratici minacciando addirittura un decreto ingiuntivo per ottenere parte dei rimborsi elettorali incassati dal partito; alla fine se ne andrà con i soli mobili dell’ufficio.

È la fine del sogno politico della contessa. C’è da stupirsi se il 13 giugno 2000 il figlio di Malvina, Federico Forcolini, per un’intera giornata si consulta con Manusardi e pochi giorni dopo blocca ogni ulteriore pagamento?

Né Prodi né Di Pietro dicono a. Anzi, qualcosa dicono: a Panorama, sempre nel giugno 2000, spiegano come hanno speso i soldi Borletti. Prodi ha utilizzato i suoi 545 milioni per «la campagna elettorale a Bologna», e il suo commercialista Fabrizio Zoli fornisce addirittura il numero degli stipendi pagati grazie alla donazione.

Di Pietro elenca «attività politiche diversificate» (vedere il riquadro) e assicura di avere in cassa «un residuo di 62 milioni circa» che pensa di utilizzare per i suoi futuri impegni politici. Dell’acquisto di case non parla. Non ancora. Ma ci tiene a sottolineare che «la donazione non era, nel mio caso, finalizzata ad attività politiche, ma all’uso che ne avrei ritenuto più opportuno».

Resta solo un dubbio, che forse oggi attanaglia anche la contessa Borletti: comprare casa grazie alla sua donazione era un uso opportuno? E con quali soldi, poi, visto che già nel 2000 Di Pietro affermava di aver speso tutto in attività politiche? (Laura Maragnani)

Panorama, 22.01.2009