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RASSEGNA STAMPA
n. 1452
del 04/11/2009
C’È DEL MARCIO IN DANIMARCA (L’ITALIA DEI VALORI REGIONE PER REGIONE)
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Deficit di democrazia interna e strapotere in mano a pochi e discussi professionisti della politica. È il risultato della passata strategia di corto respiro dell’Idv imbarcare a destra e a manca (e soprattutto al centro) transfughi di altre formazioni politiche, consegnando loro le chiavi delle federazioni locali. Questo emerge dall’inchiesta sulle strutture locali del ‘partito dell’anticasta’. Alla vigilia di una lunga stagione congressuale e dopo candidature come quella di De Magistris, il partito di Di Pietro deve scegliere se rinnovarsi davvero o precipitare nella ‘sindrome Occhetto’.

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L’Italia dei valori, il «brutto anatroccolo», come l’ha definita Antonio Di Pietro sullo scorso numero di MicroMega, sembra destinata a proseguire la sua avanzata elettorale. Elezione dopo elezione, il «partito dell’anticasta» ha visto aumentare i propri consensi, riuscendo a raddoppiare alle ultime consultazioni europee il già soddisfacente risultato ottenuto alle politiche del 2008. Un ragguardevole 8%, ascrivibile in buona parte all’immagine di «unica opposizione» che l’Idv ha saputo costruirsi nell’ultimo anno e all’indubbia qualità di alcune candidature indipendenti, a cominciare da quella di Luigi De Magistris. Ceteris paribus, è dunque lecito aspettarsi nuove e migliori performance elettorali della formazione politica guidata dall’ex Pm di Mani Pulite.

Eppure, da più parti è stato notato come i due milioni e mezzo di voti ottenuti da Idv nelle elezioni per il rinnovo del parlamento di Strasburgo molto spesso non abbiano trovato riscontro nel concomitante voto amministrativo: in media, la percentuale ottenuta dal partito alle comunali e alle provinciali del giugno 2009 si aggira infatti attorno al 4, 4,5%. Ma si tratta appunto di una media: casi limite come quello di Firenze, dove l’Idv ha preso il 2,8% alle comunali contro il 7,9% delle europee, di Crotone (3,8% alle provinciali contro il 10,7% delle europee) e di Foggia (3,7% alle comunali contro il 14,8% delle europee) evidenziano qua e là uno scarto ancora maggiore. A motivare l’indagine di cui ci accingiamo a presentare i risultati sono stati appunto questo gap e gli interrogativi che esso pone. Senza troppi giri di parole, è forse il caso di anticipare la nostra chiave di lettura del fenomeno (consapevoli che ad essa se ne possono accompagnare numerose altre): a livello locale, le ali del gabbiano arcobaleno sembrano troppo spesso zavorrate dal peso della sua contiguità ad un ceto politico dai modi di fare discutibili, in molti casi approdato in Idv dopo svariati cambi di casacca, alcuni dei quali acrobatici, e in seguito a ponderatissimi calcoli di convenienza personale. Non proprio quello che ci si aspetterebbe da un partito che aspira ad incarnare un modo nuovo di fare politica, aperto al contributo di quanti, da semplici cittadini, vogliono smetterla di guardare disgustati dalla finestra e rimboccarsi le maniche per costruire un’alternativa al regime berlusconiano.

Durante la nostra inchiesta più volte abbiamo dovuto constatare come il conflitto fra le due anime di Idv, quella ideal-movimentista da un lato, e quella inciucista e politicante dall’altro, crei spesso a livello locale situazioni di stallo, e come di frequente si risolva a favore della seconda. Una strategia di corto respiro, quella di imbarcare a destra e a manca (e soprattutto al centro) transfughi di altre formazioni politiche consegnandogli le chiavi delle federazioni locali del partito, che talvolta potrà anche servire a racimolare qualche voto o qualche assessorato in più, ma che di sicuro non giova ad un progetto di crescita e di radicamento di lungo periodo finalizzato alla trasformazione del Paese.

Va detto che Di Pietro – il quale, si sa, ama far uso di immagini bucoliche per ricordare all’elettorato le sue fiere e semplici origini contadine – dimostra di essere consapevole del problema quando afferma che «in un prato di campo nascono spontanee tante margherite, ma anche qualche erbaccia malefica...». «La capacità del buon contadino», prosegue l’ex magistrato, è proprio quella di «capire, man mano che cresce, qual è l’erba buona e quale quella cattiva e quindi innaffiare la prima e rimuovere la seconda». Per l’anno prossimo, in effetti, Tonino ha annunciato una vera e propria opera di rifondazione del partito, che dovrebbe servire, fra le altre cose, a selezionare una «nuova e qualificata classe dirigente». Questa inchiesta potrà forse essergli d’aiuto.

Peccati di gioventù

Il passato organizzativo e statutario di Idv è tutt’altro che esemplare. Il tentativo di fare un partito «al riparo dalle pastoie tanto del modello di partito ideologico, quanto di quello di mero comitato elettorale», come auspicato dallo statuto del 2004 rimasto in vigore fino all’inizio di quest’anno, si era risolto, nella migliore delle ipotesi, in un pateracchio e, nella peggiore, in una forma di autocrazia legalizzata. La partecipazione degli iscritti alla definizione del progetto politico dell’organizzazione era di fatto impedita ex lege. Per evitare le «pastoie» della tanto aborrita forma-partito, l’Italia dei valori era stata infatti costituita come un’associazione composta da tre soci: il Presidente, ovvero Di Pietro stesso, l’avvocato Susanna Mazzoleni, moglie di Di Pietro, e l’amica di famiglia Silvana Mura, oggi parlamentare, che ricopriva anche il ruolo di tesoriere. L’associazione, poi, promuoveva «la realizzazione di un partito nazionale organizzato in forma federale» (art. 2). Iscriversi al partito Italia dei valori, tuttavia, non comportava l’ammissione come socio dell’associazione, che poteva avvenire solo tramite atto notarile. L’assemblea dei (tre) soci era responsabile e custode delle finanze dell’associazione stessa (ergo, di quelle del partito), ne poteva modificare ed integrare lo statuto, e ne nominava il presidente (art. 4). La presidenza nazionale del partito spettava al presidente dell’associazione (art. 10) che, come si è appena detto, era scelto dai (tre) soci. Gli iscritti al partito, in altri termini, non avevano alcun modo di influire sulla scelta del loro presidente. Come se non bastasse, e per eliminare il rischio di insubordinazioni all’interno dell’affollata assemblea dei soci, il famigerato articolo 16 stabiliva in via transitoria che, «fino a sua rinuncia, il ruolo di presidente dell’associazione viene assunto dal fondatore del partito, on.le Antonio Di Pietro». A ragione Alberico Giostra ha parlato, nella sua documentata biografia politica dell’ex Pm, di una «struttura di governance sostanzialmente inespugnabile, in quanto sottratta al libero evolversi degli equilibri politici interni ai quali invece dovrebbe essere sottoposto qualunque organismo di comando di un partito politico»1.

Questo scenario, tuttavia, fa ormai parte del passato, perché a gennaio 2009 Di Pietro ha ritenuto opportuno avvalersi di un’altra norma transitoria prevista dall’articolo 16, quella che gli riservava il potere di modificare ed integrare lo statuto. Nella nuova carta fondamentale di Idv, il dualismo partito/associazione, all’origine di tante polemiche, è stato finalmente eliminato, azzerando in tal modo anche la partecipazione ed il ruolo degli originari soci fondatori. Il controllo delle finanze del partito è stato affidato ad un organismo collegiale composto da sette persone, l’Ufficio di Presidenza, e sono state cancellate le tanto contestate norme transitorie del vecchio statuto: i poteri statutari sono stati rimessi agli organi del partito. È in questo quadro che si annuncia per la prima volta lo svolgimento, nella primavera del 2010, di un vero congresso nazionale. Nell’attesa dell’evento, può forse essere utile cercare di capire qual è oggi la situazione organizzativa del partito, con particolare attenzione alle sue ramificazioni periferiche.

Candido, ovvero un viaggio fatto in Idv

In Piemonte, gli ultimi congressi provinciali, seguiti dal regionale, risalgono al 2005. Per la provincia di Torino, a guidare il partito è arrivato a inizio 2008 Gaetano Porcino, ex Margherita, che oggi afferma candidamente di esser stato nominato senza un congresso («a tavolino») per rimodulare la classe dirigente locale di Idv facendo spazio ai suoi accoliti. Porcino è infatti passato all’Italia dei valori insieme ad altri tre consiglieri comunali torinesi (fra cui Rocco Lospinuso, ex Forza Italia, ora nel gruppo misto) e a circa sessanta fra consiglieri comunali e assessori sparsi in tutta la provincia. Il suo arrivo nel partito ha provocato più di un malumore nella base e fra i militanti storici, nonché un crescente dissidio con l’altra cordata dell’Idv piemontese, facente capo alla senatrice Patrizia Bugnano. Porcino, oltre ad essere coordinatore provinciale, è anche deputato e consigliere comunale.

In Lombardia l’ultimo congresso regionale si è tenuto invece nel novembre 2008, quando è stato rieletto il coordinatore uscente Sergio Piffari, albergatore di Valbondione. Piffari è deputato, consigliere comunale del paese che gli ha dato i natali, assessore dell’Unione dei comuni e delle comunità montane della Lombardia e presidente di una cooperativa pubblico/privata che si occupa del recupero delle miniere abbandonate nella zona di Bergamo e provincia. In passato è stato sindaco di Valbondione, consigliere provinciale e, fino a giugno 2009, assessore al personale e ai cimiteri del comune di Bergamo. Al congresso dello scorso novembre, una volta vincitore, Piffari ha preteso ed ottenuto di presiedere un coordinamento regionale dal quale fossero esclusi i rappresentati della mozione di minoranza, presentata da Alfredo Tòppeta, che aveva raccolto circa il 30% dei voti.

In Veneto, da più di un anno è commissariata Treviso, che dovrebbe andare a congresso il prossimo settembre. In Friuli non ci sono attualmente federazioni commissariate anche se, nel corso del 2008, era toccato a Udine e Pordenone. Nel vicino Trentino, dove l’anno scorso si è creato un duro scontro, molto personale e molto poco politico, fra l’ex coordinatore provinciale Bruno Firmani e la sua vice Giovanna Giugni, dall’inizio del 2009 troviamo come commissario l’instancabile Sergio Piffari.

Della Liguria avremo modo di parlare diffusamente più avanti. Qui comunque l’onorevole Paladini, ex consigliere regionale della Margherita passato con Di Pietro poco prima delle politiche del 2008 venendo poi eletto alla Camera, nel giro di un anno è riuscito a fare il miracolo della moltiplicazione delle tessere, passate, nei mesi precedenti il congresso, da 700 a 7000.

In Toscana, dai primi di ottobre del 2008 è commissariata la federazione provinciale di Lucca, in conseguenza del duro scontro che ha opposto il coordinatore regionale Giuliano Fedeli all’ex segretario provinciale Massimo Carlo Belli, con il quale risulta oggi schierata la maggior parte degli iscritti lucchesi. In Umbria è «garante congressuale» l’onorevole Leoluca Orlando, mentre nelle Marche, dopo l’arrivo in Idv di David Favia, tutte e cinque le sezioni provinciali del partito sono commissariate.

Nel feudo di Nello Formisano, la Campania, non si tiene un congresso regionale dal 2005. Secondo Angela Zeoli, militante della prima ora ed ex coordinatrice provinciale di Benevento, in quell’occasione i circa duecento delegati non riuscirono neanche a leggere la mozione da discutere, presente in sala in un’unica copia.

Sempre nel 2005 si è tenuto anche il congresso regionale pugliese, che dopo il lungo commissariamento ad opera di Felice Belisario ha eletto coordinatore Pierfelice Zazzera. Belisario, come avremo modo di illustrare più avanti, continua comunque ad avere un ruolo non marginale nella vita del partito in Puglia. A livello provinciale risultano commissariate Brindisi, Taranto e Lecce.

Aurelio Misiti, ex sindaco comunista di Melicucco, ex assessore della giunta Carraro a Roma, ex Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici di nomina berlusconiana ed ex assessore della giunta regionale di Centrodestra presieduta da Chiaravalloti, era fino a poche settimane fa al vertice dell’Italia dei valori in Calabria. Ai primi di settembre, Di Pietro lo ha sostituito con Ignazio Messina, il responsabile nazionale enti locali di Idv.

Messina ricopre ruoli di rilievo anche all’interno della federazione siciliana del partito. La Sicilia è commissariata dal 2007, da quando cioè l’ex coordinatore regionale Salvo Raiti, che era stato eletto da un congresso, ha abbandonato l’Italia dei valori. Mentre era ancora in carica, Raiti era entrato pubblicamente in conflitto proprio con Messina, all’epoca suo portavoce. Per nove anni sindaco di Sciacca, questi annunciò infatti nel 2004 che la sua lista civica, presentatasi al primo turno insieme a Rifondazione comunista, avrebbe appoggiato al ballottaggio il candidato sindaco sostenuto da Forza Italia, Udc e An, Mario Turturici. Turturici venne eletto e Messina diventò vicepresidente del consiglio comunale. Raiti, che lo sconfessò, è oggi fuori dal partito (e dal parlamento), mentre Messina ha fatto strada: oltre ad essere deputato, è responsabile nazionale enti locali e commissario in Calabria e ad Agrigento.

Il partito in franchising

Eppure, di circoli territoriali di Idv ne esistono parecchi, e in più parti d’Italia se ne continuano ad aprire. Giovani, intellettuali, professionisti desiderosi di mettere a disposizione di un progetto condiviso le proprie capacità e competenze, semplici cittadini disgustati dalla deriva tardoimperiale del regime made in Arcore continuano ad entrare nella formazione politica guidata da Di Pietro, da molti vista come l’unico solido argine in grado di resistere alla piena berlusconiana. Non sempre, tuttavia, il loro entusiasmo e la loro passione civile trovano un contesto in cui potersi sviluppare ed essere valorizzati. Ciò avviene, ci pare di capire, per due ragioni fondamentali. La prima è strettamente connessa con i limiti organizzativi e con il deficit di democrazia interna di cui, come si è appena visto, il partito soffre in varie zone del paese. La seconda, strutturalmente legata alla precedente, ha a che fare con lo strapotere che, a fronte della scarsa capacità d’incidere del singolo iscritto, viene accordato localmente a fuoriusciti di altri partiti, per lo più orfani di lungo corso della diaspora democristiana in cerca di una temporanea ricollocazione. A questi professionisti della politica, pronti a salire sull’autobus targato Idv, magari in prossimità di un’importante consultazione elettorale, per poi scendere alla fermata successiva, è stata spesso consentita una fulminea carriera all’interno delle strutture locali del partito, mentre attivisti di provata fedeltà, o neoiscritti motivati e competenti, vengono relegati nel ruolo di meri «manovali». Un fenomeno che ha come risultato quello di deprimere e far allontanare la parte migliore della militanza.

Scuola di polizia

Giovanni Paladini, lo si è già ricordato, è dall’inizio del 2009 alla guida dell’Italia dei valori in Liguria. Ex Ppi, poi Margherita, poi Pd, è stato in passato commissario di polizia e segretario generale aggiunto del Sap, il sindacato «indipendente» (in realtà smaccatamente di destra) delle forze dell’ordine. Nelle settimane che hanno preceduto e in quelle che hanno seguito il G8 di Genova del luglio 2001 l’onorevole Paladini ha avuto un gran da fare. Tre mesi prima dei disordini, prevedeva con largo anticipo i disagi cui sarebbero andati incontro gli abitanti del capoluogo ligure proponendo in consiglio regionale l’istituzione di un fondo a favore dei cittadini danneggiati dai tumulti. Animatore, dopo il G8, della campagna di controinformazione «Chi difende i difensori?», votava convintamente contro la commissione regionale d’inchiesta sulle drammatiche giornate del luglio 2001 proposta da Rifondazione, dimostrando così in tempi non sospetti la sua consonanza ideale con quei deputati dipietristi (Carlo Costantini e Massimo Donadi) che qualche anno dopo avrebbero contribuito ad affossare l’istituzione di un’analoga commissione d’inchiesta parlamentare. Febbrile è stata anche la sua attività di consigliere in sostegno della lobby dei cacciatori, volta ad estendere i limiti temporali della stagione venatoria, ad aumentare il numero di capi da uccidere e a consentire l’immissione nel territorio della selvaggina da allevamento, all’occorrenza votando insieme alla Casa delle libertà. Paladini è arrivato in Idv nel marzo 2008, alla testa di un drappello di 83 fedelissimi, tutti amministratori eletti in Liguria nelle fila della Margherita.

Alle ultime elezioni europee, Di Pietro decideva di inserire nella lista Idv per il Nord-Ovest la savonese Gloria Bardi. Insegnante di storia e filosofia al Liceo Classico di Savona, scrittrice e appassionata di teatro, durante la stagione dei girotondi e la cosiddetta «primavera dei movimenti» la Bardi era stata fra i fondatori a Finale Ligure dell’associazione LiberaMente, che per circa due anni aveva animato il dibattito finalese organizzando eventi e discussioni pubbliche con Travaglio, Caselli, Di Pietro, Dalla Chiesa, Remondino e altre personalità. Successivamente era passata all’impegno politico locale dando vita, insieme ad alcuni esponenti del Prc, alla lista civica «Un’altra Finale», per la quale si sarebbe candidata a sindaco della cittadina nel 2004. Una donna impegnata, insomma, dall’identità politica chiaramente definita: radicale, laica, di sinistra. Un po’ troppo, per uno come Paladini.

Di lì a poco, la segreteria regionale del partito decideva che le candidate liguri alle europee del 6 e 7 giugno dovevano essere due: oltre a Bardi, veniva inserita in lista anche Marylin Fusco, giovane astro nascente dell’Idv genovese, consigliera comunale e, notoriamente, «fiamma» del Paladini. L’esordio dell’avvenente Marylin in qualità di candidata al parlamento di Strasburgo era però tutt’altro che brillante: nel corso di un dibattito elettorale andato in onda su Odeon Tv, in compagnia di Iva Zanicchi, la nostra ammise con straordinario candore, guadagnandosi nei giorni successivi la prima pagina del quotidiano Libero, che sì, in effetti, «nei confronti di Silvio Berlusconi è in atto una persecuzione». Ovviamente fra gli elettori e i militanti di Idv si scatenava il putiferio, tanto che l’incauta candidata era costretta ad una smentita ufficiale su YouTube. Ad ogni modo, durante la successiva campagna elettorale Marylin ce la metteva tutta, aprendo un suo sito dal quale comunicava in diretta video con gli elettori, girando in lungo e in largo l’Italia nordoccidentale, addirittura presentandosi insieme a Tonino davanti ai cancelli della Fiat e, soprattutto, beneficiando ampiamente dell’aiuto della segreteria regionale del partito, a quanto pare non altrettanto prodiga nei confronti di Gloria Bardi. Alla fine, nessuna delle due candidate sarebbe stata eletta, ma la Fusco avrebbe ottenuto circa 8.000 preferenze, contro le quasi 3.000 della Bardi.

Passate le elezioni, Paladini si affrettava ad ascrivere alla propria gestione il buon risultato ottenuto dall’Idv in Liguria, in realtà in linea con la media nazionale e, come nel resto del paese, dovuto principalmente alla forza d’urto del voto d’opinione antiberlusconiano. Il coordinatore regionale ne approfittava, da un lato, per un giro di vite nei confronti della minoranza interna del partito, facente capo alla «grillina» Manuela Cappello e, dall’altro, per «battere cassa» in vista di una ridefinizione dei rapporti di forza esistenti nel Centrosinistra ligure. L’Idv reclamava una maggiore rappresentanza istituzionale nelle varie amministrazioni locali, a Genova mandava sotto la maggioranza di Centrosinistra in consiglio comunale votando con l’opposizione e Paladini si spendeva senza riposo in trattative con Burlando e Marta Vincenzi. All’ex «ministro gerundio» cercava di strappare accordi in vista delle regionali del 2010, sostenendo che i tempi erano ormai maturi perché l’Idv, seconda forza della coalizione, potesse aspirare alla vicepresidenza della Regione. Lasciamo al lettore il compito di immaginare a chi spettasse, secondo Paladini, l’onore di un così alto incarico.

Fatto sta che la duplice offensiva riscuoteva un duplice risultato. A giugno, un gruppo di otto membri del direttivo provinciale di Genova, tutti vicini a Manuela Cappello, rassegnava collettivamente le dimissioni in segno di protesta contro la gestione autocratica del segretario regionale. Ai primi di luglio, veniva conferito un nuovo assessorato all’Idv nella giunta comunale genovese. Il prescelto era Stefano Anzalone, covata Paladini, ça va sans dire, un tempo vicino a Forza Italia, anch’egli proveniente dal Sap, al quale veniva affidata la delega allo sport. Assumendo il nuovo incarico, Anzalone lasciava il suo ruolo di capogruppo Idv a Palazzo Tursi, che passava ora a Marylin Fusco.

In Provincia, invece, l’Italia dei valori rimaneva a bocca asciutta anche se, durante il braccio di ferro con gli altri partiti di maggioranza seguito alle elezioni di giugno, Paladini aveva fatto circolare insistentemente il nome di Salvatore Ottavio Cosma come nuovo assessore provinciale «di peso» in aggiunta (o in alternativa) all’odiata Manuela Cappello. Cosma, da poco rientrato in Idv, è attualmente responsabile enti locali della sezione ligure del partito. Di origini calabresi, da anni risiede a Genova, dove ha peregrinato a lungo in diverse formazioni politiche: ex Pci, poi Pds, ex assessore nella giunta comunale di Adriano Sansa, transitato già in precedenza in Idv, era infine approdato nell’Udeur di Clemente Mastella, da cui è uscito pochi mesi fa. Il suo «peso» sembra derivare soprattutto dalle buone relazioni che mantiene nel capoluogo ligure con i suoi conterranei in quanto presidente dell’associazione di immigrati calabresi «La città del sole». Il 23 maggio 2008, in un articolo del Secolo XIX relativo a un’indagine condotta dal Pm genovese Francesco Pinto venivano citati degli estratti di un rapporto della Guardia di Finanza dai quali emergevano i rapporti fra Cosma e la famiglia calabrese dei Mamone, imprenditori edili operanti in Liguria a lungo beneficiati con diversi appalti dalle amministrazioni di Centrosinistra. I Mamone, sempre secondo la Finanza, sarebbero stati segnalati dalla Dia per i loro legami con la cosca calabrese dei Mammoliti.

A Savona e provincia, fra i paladiniani di stretta osservanza troviamo Rosario Tuvè e Vincenzo Catalano, che con il coordinatore regionale ligure agiscono come un sol uomo. Tuvè, anche lui ex Margherita, è l’attuale segretario provinciale di Idv mentre Catalano, segnalato in passato negli ambienti della diaspora socialista, è il suo vice con delega agli enti locali. Oltre a ricoprire l’incarico nel partito, Tuvè è anche assessore ai lavori pubblici del comune di Savona. Non molto tempo fa ha avuto l’onore di essere citato da Ferruccio Sansa e Marco Preve nel loro fortunato volume Il partito del cemento in quanto acquirente di un appartamento, ancora da costruire, nel complesso residenziale di lusso successivamente realizzato dall’architetto catalano Bofill nel quadro di una maxispeculazione edilizia che ha investito l’area del porto storico di Savona2. Una scelta che al libero cittadino Tuvè non può certo essere contestata ma che lascia un po’ perplessi in considerazione del fatto che, all’epoca dell’acquisto, l’assessore aveva la delega all’urbanistica, poi ceduta alla fine del 2007 al collega Livio Di Tullio per assumere quella ai lavori pubblici. Nello stesso periodo, fra l’altro, mentre infuriavano le polemiche sul progetto, l’amministrazione comunale stava definendo con i costruttori alcuni aspetti riguardanti gli spazi di proprietà pubblica.

Il trio Paladini-Tuvè-Catalano, alle ultime elezioni amministrative, si è ovviamente dovuto occupare di decidere le alleanze elettorali dell’Italia dei valori in provincia di Savona. A Celle Ligure, l’Idv si è schierata al fianco del candidato sindaco di Centrosinistra Renato Zunino, poi eletto. Assicuratore Unipol, membro dell’esecutivo regionale Pd, Zunino era già stato sindaco di Celle nei primi anni ’90. All’epoca, la sua amministrazione si era conclusa con una condanna patteggiata (3 milioni più altri capi d’imputazione amnistiati) per abuso d’ufficio in relazione al rilascio di concessioni e autorizzazioni edilizie. In un’altra località del savonese, Vado Ligure, l’Idv ha invece scelto di appoggiare la candidata sindaco Monica Giuliano, favorevole alla realizzazione della piattaforma per la movimentazione di container che, nei prossimi anni, dovrebbe essere costruita a Vado dalla Maersk, multinazionale danese del trasporto navale. Il progetto, osteggiato dalla stragrande maggioranza dei vadesi per le sue ricadute ambientali e paesaggistiche, è invece sostenuto dal centrosinistra ligure che lo spaccia come foriero di opportunità occupazionali. Peccato che Maersk negli ultimi mesi stia licenziando un po’ ovunque in Liguria, là dove è già presente.

A giugno 2009 si è votato anche per il rinnovo del consiglio comunale di Albissola Marina. Qui, all’inizio dell’anno, era stato costituito un circolo di Idv che aveva come referente cittadino Danilo Daneri, giovane ingegnere albissolese. Nell’approssimarsi della scadenza elettorale, i membri del circolo avevano avviato una fase di consultazione con entrambe le liste civiche riconducibili al Centrosinistra che si sarebbero presentate alle elezioni. Con una di queste, «Nuova Rotta», che candidava a sindaco l’ex consigliere di opposizione Luigi Silvestro, si era instaurato già nei mesi precedenti un rapporto di attiva collaborazione su diversi temi d’interesse locale. L’altra lista, «Albissola futura», sostenuta dalla locale sezione del Pd, presentava come candidato alla poltrona di primo cittadino Nicolò Vicenzi, già Popolari, Udeur e Margherita, e in passato sindaco di Stella per due mandati. Gli iscritti albissolesi di Idv, non avendo preclusioni di principio, avevano chiesto udienza anche ai referenti cittadini di quest’altra lista, senza peraltro mai ottenerla.

Più volte, nei mesi che avevano preceduto la scadenza per la presentazione delle liste, Daneri e gli altri membri del circolo avevano domandato a Tuvè e a Catalano come regolarsi per le alleanze elettorali, ottenendo per lo più appuntamenti in seguito rinviati e risposte ambigue. E dire che l’assessore è uno che di liste elettorali se ne intende, avendo dovuto sborsare in passato 600 euro per estinguere il reato di aver falsamente certificato una firma per la presentazione delle liste alle regionali del 2005. Durante un incontro effettivamente avuto verso la metà di marzo con gli iscritti albissolesi, Tuvè accennava en passant all’eventualità che il partito potesse correre alle comunali senza allearsi con i democratici, come sarebbe avvenuto, ad esempio, nella vicina Varazze. Più o meno nello stesso periodo i dipietristi di Albissola apprendevano dai giornali che la decisione presa dalla segreteria regionale di Idv era quella di andare ovunque in alleanza col partito di Franceschini. Comprensibilmente disorientati, i membri del circolo arrivavano, il 2 aprile, a scrivere direttamente all’onorevole Paladini, senza ottenere alcuna risposta. Nel mese successivo, preso atto del silenzio degli organismi dirigenti locali, l’Idv di Albissola si attivava per dare il proprio contributo alla campagna elettorale di «Nuova Rotta».

«Due giorni prima della chiusura delle liste», ricorda Daneri «ricevo una chiamata di Tuvè, che mi comunicava la scelta di sostenere Vicenzi». A quel punto, il referente del circolo albissolese informava l’assessore che, vista la latitanza dei vertici regionali e provinciali, era ormai in corso una proficua collaborazione con il gruppo di Silvestro. «Menzogne», ribatte Tuvè «abbiamo chiarito a Daneri che doveva appoggiare la lista “Albissola futura” con largo anticipo. Non è in questione la nostra stima per Silvestro, è che avevamo il sentore che, in quelle condizioni, “Nuova rotta” fosse destinata a perdere. E i fatti ci hanno dato ragione: a Varazze, dove abbiamo acconsentito a che il partito andasse da solo, è stato un massacro». Secondo l’assessore, la differenza fra la situazione di Varazze e quella di Albissola risiedeva nella scarsa esperienza politica di Daneri e dei suoi amici: «a Varazze abbiamo dato carta bianca perché abbiamo ravvisato, nei responsabili locali del partito, dei presupposti di esperienza e competenza che non erano presenti ad Albissola. E comunque, l’ultima parola sulle alleanze elettorali spetta agli organismi di coordinamento regionale e provinciale, non al singolo gruppo di iscritti». Su questo, va riconosciuto, Tuvè ha ragione: secondo lo statuto oggi in vigore, i circoli di Idv non possono in alcun modo vincolare o rappresentare il partito sul territorio. Non possono, cioè, prendere decisioni in contrasto con quanto stabilito dagli organi statutari. Ad essi, tuttavia, «deve essere assicurata l’attiva partecipazione alla vita politica del partito» (art. 5), ed è stata proprio l’assenza di partecipazione quella che, ci pare di capire, ha determinato l’esito spiacevole della vicenda.

Alle elezioni, Daneri si presenterà infatti nella lista di Silvestro «come libero cittadino, non come Idv». Per tutta risposta, a consultazione elettorale avvenuta, Tuvè «sospendeva» l’intero circolo albissolese, a partire dal referente. In realtà la vicenda delle comunali spiegava solo in parte il ricorso ad una decisione così estrema. A determinarla aveva infatti contribuito anche (soprattutto?) la lettera che, a urne ormai chiuse, Daneri ed un gruppo di giovani iscritti a Idv delle province di Genova e Savona avevano inoltrato ai vertici nazionali del partito, lamentando l’eccessivo sbilanciamento dei dirigenti regionali e provinciali nei confronti della candidata Fusco. «Girando per la Liguria nelle settimane precedenti alle elezioni», sostiene Daneri «sembrava che l’unico candidato di Idv al Parlamento europeo fosse Marylin Fusco. Noi, come iscritti a Idv, abbiamo ritenuto doveroso fare campagna elettorale anche per altri candidati, a partire dalla ligure Gloria Bardi». La vicenda della lettera e dell’avvenuta sospensione dal partito rimbalzava sugli organi di stampa locale, con il sito Uominiliberi.it che rivelava un particolare, per Paladini & Co, ancora più imbarazzante: durante la campagna elettorale, dalla segreteria provinciale e da quella regionale del partito sarebbero stati mandati ai candidati alle provinciali e alle comunali due sms in cui si proponeva lo sconto sul materiale elettorale a coloro che avessero deciso di associare la propria candidatura alle amministrative a quella europea della Fusco.

Di casi simili a quello di Albissola, nei quali si assiste ad un conflitto fra la componente motivata e militante del partito e quella più legata a logiche elettoralistiche e spartitorie, se ne potrebbero citare diversi. Qualcosa di analogo si è verificato ad esempio anche a Caltanissetta, sempre in occasione dell’ultima tornata elettorale.

In vista delle comunali, il locale meet-up degli amici di Beppe Grillo aveva deciso di presentarsi «in tandem» con l’Italia dei valori. La lista, contrassegnata da due simboli racchiusi in un unico cerchio, si sarebbe dovuta chiamare «Cittadini in comune». Il locale circolo Idv, precedentemente composto da due sole persone, in seguito alla scelta di collaborare con i grilli nisseni aveva conosciuto una discreta espansione, con l’ingresso di alcuni nuovi iscritti, per lo più giovani che si avvicinavano alla politica per la prima volta. La collaborazione fra i due gruppi, tuttavia, sfumava rapidamente quando i membri del meet-up venivano a conoscenza della decisione, presa a tavolino da Di Pietro, Orlando e Giambrone, di candidare alle europee Salvatore Messana, per dieci anni sindaco di Caltanissetta.

L’ex primo cittadino trovava ospitalità nella famiglia dipietrista dopo essere uscito dal Pd, e dopo aver inanellato nell’ultima parte della sua carriera politica una serie di cocenti trombature. Nel 2007 si era candidato a segretario del Partito Democratico in Sicilia, venendo sconfitto alle primarie da Francantonio Genovese. Alle politiche del 2008 era poi sfumata la possibilità di una sua collocazione nelle liste del Pd per la Camera dei deputati. Di lì a poco, tuttavia, al nostro veniva offerta una chance di rivincita, rappresentata dalla candidatura a presidente della provincia di Caltanissetta, ma anche in questo caso Messana mancava l’obiettivo. Infine, il suo ex partito gli negava la possibilità di candidarsi, da sindaco uscente, alle europee del 2009.

Una volta saputo che l’Idv avrebbe candidato Messana, i grilli nisseni rompevano l’accordo con il partito di Di Pietro. Ma perché prendersela tanto con l’ex sindaco di Caltanissetta? «Diciamo che Messana», risponde Giancarlo Cancelleri del meet-up nisseno «ai nostri occhi non rappresentava affatto quel nuovo e quella discontinuità di cui il nostro movimento si è fatto portabandiera. Ma soprattutto, quando la notizia della sua candidatura calata dall’alto, senza discussione alcuna, è arrivata come un fulmine a ciel sereno, abbiamo capito che, alleandoci con Idv, avremmo perso la nostra capacità di elaborazione politica autonoma, dovendo sottostare ai diktat della segreteria palermitana». La cosa finirà così: l’apparentamento fra grilli e Idv salterà e la maggior parte dei nuovi iscritti al partito di Di Pietro restituirà platealmente la tessera a Giambrone durante un incontro svoltosi a Caltanissetta. Messana, vittima di qualche maledizione, non verrà eletto a Strasburgo.

Campania infelix

Il caso di Caltanissetta ci dà l’occasione per continuare a parlare di elezioni europee. Di Pietro ha giustamente rivendicato la qualità e la forte valenza simbolica di molte delle candidature espresse dall’Italia dei valori il 6 e 7 giugno scorsi. A ben guardare, tuttavia, oltre a Luigi De Magistris, Sonia Alfano, Carlo Vulpio, Gianni Vattimo e tante altre personalità del mondo delle professioni e della cultura note al grande pubblico, hanno corso per Strasburgo sotto le insegne del partito dell’ex Pm anche nomi meno noti. Uno di questi è quello di Vincenzo Iovine, oggi sicuramente più conosciuto di qualche mese fa, visto che è poi risultato fra gli eletti.

Originario di Francolise, in provincia di Caserta, Iovine è quel che si dice un «uomo nuovo», digiuno di politica. In origine cancelliere dell’amministrazione giudiziaria, vanta sul suo sito, dove compare ritratto a braccia conserte di fronte ad una Madonna con bambino, una lunga «carriera nel sociale», iniziata come segretario regionale del sindacato giudiziario e proseguita come segretario generale della Federazione dei Pensionati e della Federazione Nazionale del Personale dell’Agricoltura. Nel 2000, il colpo di genio: Iovine fonda un centro di assistenza fiscale per dipendenti e pensionati, seguito da un altro nel 2002. Ne assume la presidenza e li dirige tuttora, «procurando lavoro a centinaia di operatori e consulenti fiscali nel meridione d'Italia». Non c’è dubbio che, candidandosi alle elezioni, disporre di una rete di Caf diffusa su tutto il territorio nazionale, e soprattutto al Sud, faccia la differenza. Le 21.489 preferenze conquistate da Iovine paesino per paesino, parrocchia per parrocchia, sono lì a testimoniarlo.

A maggio dell’anno scorso, il candidato sceglieva come prima tappa della propria campagna elettorale la cittadina mariana di Lourdes, dove spesso si reca in pellegrinaggio con i suoi cari. Delle proprie radici cattoliche, del resto, l’onorevole Iovine, insignito della Gran Croce dei Cavalieri di Malta, non fa mistero. Ha trovato il modo di menzionarle persino nel curriculum vitae in formato europeo che Di Pietro ha chiesto a tutti i candidati in corsa per Strasburgo. Tralasciando per un momento informazioni fondamentali riguardanti abilità come l’«utilizzo del computer con sistema operativo da windows 95 a Windows Vista» o il possesso della patente B, alla voce «Capacità e competenze relazionali» il nostro ha infatti scritto, testualmente: «Vivo e mi relaziono con il pubblico secondo la più limpida tradizione Cattolica». Poco più sotto, alla voce «Capacità e competenze artistiche», viene invece menzionato l’hobby principale di Iovine: la «scrittura a sfondo religioso». L’onorevole, in effetti, è autore di diversi libri, fra i quali vale la pena menzionare Colloquio con Maria, I gradi di Maria e la tetralogia La perla tra le righe. Chissà se qualche collega del gruppo liberaldemocratico di Strasburgo si prenderà la briga di leggerli.

Sul suo sito è presente anche un dettagliato, ancorché sgrammaticatissimo, programma elettorale. In esso ritroviamo tutti i capisaldi della dottrina sociale della Chiesa: dalla predilezione per i «meno fortunati» (con annesso elenco delle possibili disgrazie individuali e familiari), all’attenzione per le tematiche ambientali (con annessa riflessione sul nucleare, poco conveniente, secondo Iovine, non tanto per i rischi che comporta, quanto perché l’«uraneo» sarà esaurito entro vent’anni), passando per un accorato appello a favore di coloro che non hanno il necessario a condurre una vita dignitosa, «pur nella distinzione fra ricchezza e povertà» (sic). Un impegno, quello a favore dei meno abbienti, che «ci è imposto da una coscienza etica e da una seria morale cattolica». «Se poi non siete credenti», conclude il neoparlamentare europeo «allora fatelo per il vostro interesse ed egoismo personale, poiché se il nostro vicino di casa ha di che vivere certamente non verrà prima o poi nella vostra casa per derubarvi». I senza Dio, si sa, sono condannati a non avere un’etica.

Nelle liste elettorali stilate da Tonino trovava posto lo scorso giugno anche Nunzio Pacifico, pupillo di Nello Formisano, ex Margherita e attuale assessore provinciale dell’Italia dei valori a Benevento. Quest’ultima carica Pacifico la ricopre dall’aprile del 2009, quando il partito (leggi Formisano) lo ha imposto al presidente Cimitile in sostituzione di Nicola Simeone, il quale per tutta risposta sarebbe passato qualche mese dopo dall’Idv all’Udeur. A giugno, Cimitile finiva agli arresti domiciliari, poi revocati, nel quadro dell’inchiesta sui falsi collaudi degli impianti a cdr della Procura di Napoli. Di Pietro tuonava: «se il Tribunale del Riesame conferma, Cimitile si deve dimettere». Il Riesame confermava la validità dell’impianto accusatorio, ma Cimitile rimaneva al suo posto, e con lui Nunzio Pacifico. Poco dopo l’esplosione dello scandalo Global Service, il 20 dicembre 2008, Formisano e Pacifico avevano dichiarato in una nota congiunta: «Riaffermiamo, con piena convinzione, la necessità di ritirare i nostri assessori dalle giunte della Campania. Questo, al fine di una maggiore sensibilizzazione sui temi della moralità in politica e fino a quando la questione morale non verrà affrontata concretamente».

Oltre ad essere assessore, Pacifico è anche commissario dell’Italia dei valori a Benevento. La nomina risale al 2007, quando la guerra di logoramento condotta da Formisano contro l’ex coordinatrice provinciale, Angela Zeoli, indusse quest’ultima alle dimissioni. Angela era entrata in Idv alla fine del 1998, fondando un circolo del partito nel suo paese, Santa Croce del Sannio. Negli anni successivi, anche grazie alla collaborazione di altri dipietristi della prima ora, riusciva a creare nuove sezioni dell’Italia dei valori nel resto della provincia, fino a raggiungere l’obiettivo di aprirne una a Benevento nel 2002. Il tutto a proprie spese, e scontando le difficoltà connesse all’essere il beneventano un feudo di Clemente Mastella. In quegli anni pionieristici, in cui il nuovo partito veniva tirato su dal nulla grazie all’impegno e alla motivazione di poche manciate di militanti sparsi in varie parti d’Italia, il gruppo della Zeoli aveva fama di essere uno dei più agguerriti, tanto che a loro era stata affidata l’organizzazione degli eventi e delle manifestazioni del partito su scala nazionale. «Allo stesso Di Pietro capitava, di tanto in tanto, di ringraziarci per il lavoro che svolgevamo», ricorda Angela. «Con lui avevamo, all’epoca, un ottimo rapporto».

Nel 2004 si teneva a Benevento un congresso provinciale e la Zeoli veniva eletta coordinatrice. L’anno seguente, tuttavia, dopo una permanenza di qualche anno nei Democratici e nella Margherita, rientrava in Idv il «sansepolcrista» Nello Formisano, che da subito cominciava a lavorare per piazzare suoi uomini ai vertici del partito in tutta la regione. A Benevento, però, l’operazione non riusciva, proprio per la presenza di Angela Zeoli e del suo gruppo. I motivi di scontro fra il coordinatore regionale e la segretaria provinciale di Benevento avevano a che fare soprattutto con l’atteggiamento da tenere nei confronti di Clemente Mastella e dei suoi vassalli. Mentre Formisano era un fautore dell’appeasement, Angela non perdeva occasione per denunciare il modo clientelare e poco trasparente di fare politica del sindaco di Ceppaloni. «Spesso», ricorda la Zeoli «mi capitava di scrivere articoli contro Mastella sulla stampa locale. Puntualmente, uno o due giorni dopo, Formisano rilasciava dichiarazioni con cui di fatto mi sconfessava». E Tonino, da che parte stava? «Lui minimizzava, sosteneva che l’ingresso di Formisano nel partito aveva avuto la sua utilità e mi accusava scherzosamente di essere una bastian contraria. Poi, quando la situazione è degenerata, il silenzio più assoluto, anche perché nel frattempo era stato nominato ministro e parlarci era diventato difficilissimo anche per noi. Alla fine Formisano è riuscito a screditarci e a logorarci talmente tanto da creare divisioni al nostro interno e da spingermi, in prossimità della scadenza del mandato, a rassegnare le dimissioni». Al posto di Angela veniva nominato commissario Nunzio Pacifico, che all’epoca, sostiene la Zeoli, non era neanche iscritto a Idv. La nomina doveva ovviamente essere temporanea, per portare il partito ad un nuovo congresso provinciale, che tuttavia non si sarebbe mai tenuto. Dopo quasi tre anni, Pacifico è ancora commissario (oltre che assessore), mentre la Zeoli ha restituito la tessera.

E allora diamogli un’occhiata, a quello che Giostra ha efficacemente definito «l’Antonio Gava di Di Pietro». Nello Formisano, avvocato, in passato portantino all’ospedale Cardarelli di Napoli, comincia la sua esperienza politica nel Pci, da cui uscirà nei primi anni novanta durante la fase di commissariamento di Antonio Bassolino. Secondo il periodico napoletano La Voce delle Voci è iscritto alla massoneria, in particolare alla Gran Loggia d’Italia di piazza del Gesù, seconda solo, per numero di affiliati, al Grande Oriente. Il 21 marzo 1998 è fra i fondatori dell’Italia dei valori a Sansepolcro. Di lì a poco, tuttavia, si distaccherà da Di Pietro e ne diventerà un fiero oppositore all’interno dei Democratici, per poi confluire insieme al grosso del partito dell’asinello nella Margherita. Nel 2005, come si è visto, il grande ritorno. Alle politiche dell’anno successivo Formisano veniva candidato al Senato dai Ds, come rappresentante della quota del «diritto di tribuna» concesso all’Idv nel caso il partito non avesse superato gli sbarramenti previsti dal porcellum. Inserito in seconda posizione nel collegio dell’Umbria, risulterà eletto. Nel corso di quella travagliata legislatura sarà il celebre protagonista, insieme ai colleghi Caforio e Giambrone, dell’imboscata parlamentare che manderà in minoranza il Centrosinistra al momento del voto sullo scioglimento della società Stretto di Messina. Nel 2008, infine, veniva candidato da Di Pietro alla Camera, dove oggi siede come deputato. Insieme all’ex Dc potentino Felice Belisario incarna l’ala «pragmatica», per così dire, dell’Idv: entrambi hanno riempito il partito delle mani pulite di faccendieri ed arrivisti, in larga misura di provenienza democristiana. Grazie a Formisano, ad esempio, sono arrivati in Idv Porfidia, Marrazzo e Silvestro, di cui si dirà più avanti. Sempre in virtù dei buoni uffici dell’avvocato napoletano, inoltre, è stato messo in lista al Senato nel 2006 il tristemente noto Sergio De Gregorio, ex direttore craxiano dell’Avanti transitato - prima di approdare al partito di Di Pietro - in Forza Italia e nella Nuova Dc di Gianfranco Rotondi.

Con il presidente di Italiani nel Mondo il segretario campano di Idv ha continuato a mantenere buoni rapporti anche dopo il passaggio del primo al Centrodestra. A De Gregorio, del resto, era stata addirittura affidata la direzione editoriale del quotidiano del partito, Italia dei valori, nella cui redazione Formisano aveva piazzato il figlio come praticante. A Torre del Greco, cittadina che gli ha dato i natali, il coordinatore regionale campano ha fatto entrare l’Italia dei valori in coalizione con Forza Italia, An, Udeur e, per l’appunto, Italiani nel Mondo. Era il maggio del 2007 e correva per la poltrona di primo cittadino Ciro Borriello. Sull’home-page del suo sito di candidato a sindaco, tuttora on-line, campeggia una frase di Oscar Wilde, autentico motto di ogni spirito libero e anticonformista: «Tutte le volte che altri sono d’accordo con me, ho sempre la sensazione di avere torto». Qualche traccia delle difficoltà sperimentate da Borriello nel mettersi d’accordo, oltre che con gli altri, anche con se stesso rimane oggi nel suo percorso politico: già deputato di Forza Italia, passava in seguito all’Udeur, per poi entrare in Idv. Veniva eletto sindaco come membro del partito di Di Pietro, che tuttavia avrebbe abbandonato circa un anno dopo.

Anche a San Giorgio a Cremano, Formisano schierava l’Idv insieme al Centrodestra, ma stavolta andava male e il candidato sindaco, l’ex Dc Gaetano Punzo, veniva sconfitto dal rivale Domenico Giorgiano. Circa un anno dopo, nell’aprile 2008, una scelta analoga veniva compiuta a Qualiano: qui la Grosse Koalition alla pummarola prevedeva però uno sfondamento a destra, imbarcando anche la Fiamma Tricolore di Luca Romagnoli. «Si tratta di casi isolati», spiega Formisano «in quanto nel 99% delle amministrazioni locali campane l’Idv è in coalizione con il Centrosinistra. A San Giorgio, fra l’altro, tre mesi fa siamo entrati in maggioranza. A Torre permane una situazione particolare, ma è in corso una riflessione che porterà sicuramente nei prossimi mesi all’uscita di Idv dal Centrodestra». Secondo l’onorevole, inoltre, una simile gestione pragmatica e disinvolta delle alleanze locali, in una regione come la Campania, dà i suoi frutti: «Io sto ai fatti, e i fatti in politica sono numeri. Alle europee, candidando Nunzio Pacifico abbiamo preso, in provincia di Benevento, il 10,4%. Nel casertano, candidando Iovine, il 9,7. E siamo una delle regioni in cui il divario fra risultato europeo e risultato locale tende ad assottigliarsi di più». Già, i numeri.

Come ti nomino il commissario

Nell’Idv, a onor del vero, Formisano non è l’unico ad avere la mano facile in fatto di alleanze e accordi trasversali. La federazione provinciale di Brindisi è commissariata dal febbraio 2008, da quando cioè l’allora segretario provinciale Francesco Greco, eletto da un congresso l’anno precedente, è stato cacciato per aver presentato una mozione di sfiducia nei confronti del senatore brindisino Caforio e dei vertici regionali del partito. Greco era arrivato a quella decisione dopo che Caforio e Zazzera gli avevano imposto di accettare il passaggio all’Idv di Antonio Giunta, giovane consigliere comunale legato all’ex sindaco Antonino (più volte finito in carcere per corruzione). Giunta, eletto in consiglio comunale con una lista civica di Centrodestra, una volta entrato nel partito di Di Pietro aveva ottenuto da Caforio il permesso di continuare ad appoggiare fino alla fine della consiliatura il sindaco di destra Domenico Mennitti. Dopo aver guidato la rivolta dei membri del coordinamento provinciale contro la decisione presa a tavolino da Caforio, Zazzera e Belisario, Greco veniva espulso con una lettera del segretario regionale e al suo posto veniva nominato commissario Giuseppe Caprioli. Mentre era ancora in carica, tuttavia, qualcuno si era introdotto nottetempo nella sede provinciale del partito forzandone la serratura e sostituendola per impedire l’ingresso all’allora coordinatore provinciale. Alle successive elezioni politiche del 2008 Giunta veniva inserito in lista per la Camera dei deputati. Più recentemente è stato invece il candidato sindaco di Idv, che nella città pugliese ha optato per una corsa in solitaria.

Se in quell’occasione Caforio e Zazzera sono stati costretti a fare il lavoro sporco, lo stesso Greco ritiene che mente dell’operazione sia stato Felice Belisario. Ex democristiano, avvocato, già consigliere comunale di Potenza e vicepresidente della provincia, Belisario è l’attuale capogruppo dell’Italia dei valori a Palazzo Madama. Anche lui fa parte di quel ristretto numero di colonnelli rimasti al fianco di Tonino sin dai tempi della fondazione del partito a Sansepolcro. Ha ricoperto a lungo l’incarico di commissario in Calabria, Basilicata e Puglia. Ed è soprattutto in quest’ultima regione che ha dato il meglio di sé. Oltre a far entrare Giunta, ha fatto rimuovere telefonicamente il coordinatore provinciale di Foggia, Mario Pasqua, anche lui regolarmente eletto da un congresso, per imporre come commissario l’ex Udeur Orazio Schiavone, condannato per esercizio abusivo della professione odontoiatrica. A Castellana Grotte, in provincia di Bari, ha imposto al segretario del locale circolo di Idv, Donato Aquilino, di fare marcia indietro rispetto agli accordi già presi con gli altri partiti del Centrosinistra per fargli appoggiare come candidato sindaco un assessore della giunta uscente, di Centrodestra. Date le sue rimostranze, Aquilino veniva commissariato e al suo posto Belisario e Zazzera nominavano Franco Sportelli che, oltre ad essere il cognato del candidato che avevano deciso di appoggiare, non era neanche iscritto al partito. Dopo la designazione di Sportelli si sarebbe dovuto tenere un congresso di circolo, che però non si sarebbe mai svolto: a Castellana, di fatto, oggi non esiste più alcuna sezione di Idv. Anche a Lecce il coordinatore provinciale eletto, Piergiorgio Provenzano, è stato estromesso d’autorità. Idem a Taranto, dove la coppia Zazzera/Belisario ha fatto fuori Giovanni Guttagliere, sostituito dall’ex An Antonio Martucci. Lilli D’Amicis, che oltre ad essere stata responsabile del circolo Idv di Grottaglie è l’addetta stampa del senatore Caforio, è recentemente uscita dal partito proprio in polemica con la gestione autoritaria di Martucci. A spingerla a restituire la tessera anche il comportamento tenuto dall’unico consigliere comunale Idv del suo paese, l’ex Ds Donato Trivisani, favorevole all’ampliamento della discarica gestita dalla Ecolevante di Giuseppe Settanni.

Nell’Italia dei valori la tendenza a commissariare ogniqualvolta si presentino divisioni interne o dissensi politici è diffusissima. Segno che siamo in presenza di un partito che non è ancora un partito, ma piuttosto una struttura gerarchica verticale ramificantesi in strutture di vassallaggio locale. La palma dei commissariamenti spetta alle Marche. Ad Ancona e a Pesaro e Urbino, per la verità, dei congressi provinciali si erano tenuti fra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 ed avevano eletto coordinatori Guido Caruso e Nicolò Di Bella. Di lì a poco, tuttavia, aderiva all’Idv l’onorevole David Favia, all’epoca consigliere regionale e oggi deputato del partito di Di Pietro. Anche lui avvocato, Favia è stato in passato presidente delle Edizioni Locali del costruttore Edoardo Longarini, l’ex re del cemento di Ancona protagonista nei primi anni novanta della tangentopoli marchigiana. Dai tempi del suo sodalizio con quello che i giornalisti, per via dei modi spicci e dell’eloquio disinvolto, avevano soprannominato «Al Cafone», Favia ne ha fatta di strada: negli anni ’90 era fra i fondatori di Forza Italia nelle Marche, diventando nel 2000 consigliere regionale. Tre anni dopo abbandonava Berlusconi e passava all’Udeur, sotto le cui insegne sarebbe stato rieletto nel 2005 diventando vicepresidente del consiglio regionale. Nello stesso anno, col suo voto contribuiva a far abolire una legge regionale che introduceva l’obbligo per i candidati che dovevano assumere incarichi in Regione di dichiarare l’appartenenza ad ogni genere di associazione, massoneria compresa. Nel febbraio 2008, infine, quando Clemente Mastella aveva da poco fatto cadere il secondo governo Prodi e il suo screditato partito cominciava a perdere pezzi, Favia entrava in Idv, e Di Pietro lo candidava immediatamente alla Camera dei deputati, secondo nome in lista nel collegio delle Marche. Attualmente ricopre, oltre all’incarico di deputato, anche quello di capogruppo al consiglio comunale di Ancona.

L’ingresso di Favia nel partito delle mani pulite non era privo di conseguenze interne. Poco dopo le elezioni politiche, Di Pietro mandava una mail ai vari dirigenti locali marchigiani con la quale nominava il neodeputato «garante regionale» ed invitava il segretario delle Marche e quelli delle varie province a «confrontarsi» con lui su qualsiasi questione. «Orsù dunque», esortava Tonino, «prepariamoci ad aprire le porte dell’Italia dei Valori a tutti coloro che vogliono impegnarsi con noi verso un percorso comune. Superiamo ogni divisione ed incomprensione fra noi proprio per la fiducia che i cittadini nostri elettori hanno riposto in noi». Tradotto significava che, da quel momento in poi, Favia e i suoi avrebbero avuto carta bianca nel fare tabula rasa degli organismi di coordinamento locale eletti dai congressi tenutisi pochi mesi prima. Di lì a poco, in effetti, Caruso sarebbe stato rimosso e sostituito dallo stesso Favia, che assumeva il ruolo di commissario. Lo stesso accadeva a Nicolò Di Bella, che si vedeva commissariato da Borghesi. Ad Ascoli Piceno veniva nominato Andrea Cardilli, mentre l’incarico di commissario provinciale di Fermo andava ad Adolfo Marinangeli, uomo di Favia. Questi era infatti entrato in Idv alla testa di un gruppetto di ex Udeur: oltre a Marinangeli ne facevano parte Mirco Cesaretti, Ennio Coltrinari, Paola Giorgi (che nel settembre 2008 diventerà la responsabile donne delle Marche), Paolo Eusebi e Giulio Saccuti, attualmente sindaco di Amandola e non più in Idv.

Le epurazioni di Caruso, Di Bella, e di diversi altri coordinatori provinciali e cittadini marchigiani, verificatesi con l’avallo esplicito dei vertici nazionali, susciteranno tuttavia nei mesi successivi una reazione organizzata. A marzo 2009, in occasione della venuta di Di Pietro a San Benedetto del Tronto per la presentazione del suo libro Il guastafeste, Caruso organizzava insieme a Fabrizio Chitti, ex responsabile cittadino di Senigallia, e a Mirco Sesterzi, ex coordinatore Idv di Osimo, un sit-in di protesta contro i commissariamenti di Favia e soci. Interpellato da alcuni cronisti presenti, Di Pietro rispondeva lapidariamente che «se c’è stato un commissariamento, vuol dire che è giusto». «Non si può pretendere di sostituirsi a Di Pietro all’interno dell’Italia dei Valori. Quando si danneggia il partito si va fuori», rincarava poco tempo dopo Favia in un’intervista rilasciata al quotidiano on-line VivereMarche. Alle parole seguivano rapidamente i fatti, e nei giorni successivi l’onorevole notificava via mail a Caruso, Chitti e Sesterzi di aver avviato le procedure per espellerli dal partito.

Ceppaloni Connection

Al lettore accorto non sarà sfuggito come la lista degli ex Udeur saltati sul carro di Tonino sia decisamente lunga. Il fenomeno, intensificatosi in seguito allo sgambetto di Clemente Mastella a Romano Prodi e alla successiva caduta in disgrazia del sindaco di Ceppaloni, in realtà dura già da qualche anno. Ai nomi di Salvatore Cosma, Ciro Borriello, Orazio Schiavone e David Favia se ne potrebbero aggiungere molti altri, a partire da quello di Pino Pisicchio, che in fatto di cambi di casacca non teme confronti.

Ex Dc, poi Ppi, Rinnovamento Italiano, Udeur e Rinnovamento Puglia, ha aderito all’Italia dei valori dopo che era sfumata la sua candidatura a sindaco di Bari per il Centrodestra. Pisicchio, che aveva stretto un accordo in tal senso con Raffaele Fitto, alla fine dovette desistere per la forte opposizione di Alleanza Nazionale, preoccupata dall’eventualità di una deriva centrista della coalizione. Il suo arrivo nel partito, circa un mese prima delle elezioni politiche del 2006, provocava non pochi malumori fra gli iscritti; il coordinatore provinciale di Bari Michele Cecere si dimetteva spiegando: «la nostra base è fatta di persone che credono ancora al rinnovamento della politica, e non al mercanteggiamento». Di Pietro, come sempre in questi casi, faceva spallucce e Pisicchio veniva candidato alla Camera, risultando poi eletto. Ancora oggi siede a Montecitorio nei banchi dell’Italia dei valori.

Fra gli ex mastelliani di un certo peso troviamo anche il senatore Nello Di Nardo, dentista di Castellammare di Stabia e cugino di Orazio Schiavone, il coordinatore provinciale di Foggia che, come abbiamo visto, è stato condannato proprio per esercizio abusivo della professione odontoiatrica. Di Nardo alle elezioni del 2006 non era stato eletto, ma Di Pietro se lo era portato lo stesso a Roma, al ministero delle infrastrutture. A scanso di imprevisti, due anni dopo Tonino lo avrebbe candidato capolista al Senato in Campania.

In Abruzzo proviene dalle fila dell’Udeur Augusto Di Stanislao. Prima di arrivare nel partito del campanile, Di Stanislao ha militato nei Ds e, dopo la nascita del Pd, in Sinistra Democratica. Ha cominciato la sua carriera politica come sindaco di Colonnella, piccolo comune del teramano. Nel 1999, quando ancora ricopriva quell’incarico amministrativo, veniva censurato per comportamento antisindacale dal pretore del lavoro di Teramo, che accoglieva in tal modo due distinti ricorsi presentati dalla Funzione Pubblica della Cgil. Nel 2000 entrava per la prima volta in consiglio regionale, venendo poi rieletto nel 2005. Due anni dopo passava, nel giro di pochi mesi, dai Ds a Sd, per poi finire nell’Udeur. Abbandonerà Mastella dopo le elezioni politiche del 2008 quando, complice il buon risultato elettorale ottenuto dal partito di Di Pietro in Abruzzo, Del Turco deciderà di assegnargli un assessorato. La delega sarebbe dovuta andare a Bruno Evangelista, esponente storico dell’Italia dei valori abruzzese e capogruppo in consiglio regionale. Evangelista, tuttavia, era stato fra i più accesi critici della decisione di confermare Alfonso Mascitelli come coordinatore regionale dopo il contestatissimo congresso di Roccaraso, motivo per cui Di Pietro gli preferì Di Stanislao, favorendone il passaggio dall’Udeur all’Idv.

L’alleanza fra Di Pietro, Mascitelli e Di Stanislao volta ad emarginare Evangelista, personalità troppo autonoma e critica per non creare malumori ai piani alti del partito, era del resto già in atto da tempo. La coppia Mascitelli/Di Stanislao, in particolare, nei mesi che avevano preceduto il conferimento dell’assessorato aveva già avuto occasione di agire in sinergia, rendendosi protagonista di un piccolo giallo. In consiglio regionale si votava una legge denominata «Non solo Iper», volta a regolamentare il diffondersi della grande distribuzione commerciale sul territorio regionale. L’Abruzzo ha in effetti una grande concentrazione di centri commerciali e la legge tentava di contrastarne l’ulteriore sviluppo tutelando la piccola distribuzione e il commercio tradizionale. La proposta alla fine sarebbe passata, ma unitamente ad un emendamento dell’ultimo minuto che ne stravolgeva il contenuto, liberalizzando completamente l’apertura dei centri in tutta la regione. Evangelista usciva dall’aula per protesta contro il colpo di mano, opera di qualche abile lobbista. Nei giorni successivi si sarebbe scatenata la caccia agli autori dell’emendamento, di difficile identificazione visto che lo stesso era stato scritto a mano e portava in calce tre firme illeggibili. Poiché nessuno si faceva avanti, la ricerca dei proponenti durò una settimana, fino a che i tre consiglieri non furono costretti ad uscire allo scoperto: si trattava, nell’ordine, di Alfonso Mascitelli, Augusto Di Stanislao e Camillo Cesarone, in seguito arrestato nella Sanitopoli abruzzese dello scorso anno.

Mascitelli, ex Margherita, si è inoltre reso protagonista nel 2007 di un mercanteggiamento à la Messina. Alle elezioni comunali di Montesilvano, in provincia di Pescara, ha schierato l’Idv al primo turno con Rifondazione e al ballottaggio con il Centrodestra. L’obiettivo del senatore abruzzese era quello di ottenere un assessorato, che tuttavia il sindaco Pasquale Cordoma, una volta eletto, gli avrebbe negato.

Nell’armadio di Tonino

Gli ultimi giorni del 2008 rimarranno impressi a lungo nella memoria di Americo Porfidia. Fra Natale e Capodanno, a mandare di traverso il panettone al deputato campano di Idv era la notizia, appresa dai giornali, di essere indagato dalla Dda di Napoli per il 416bis. Il suo nome compariva, insieme a quello di altre sedici persone, in un’informativa del 2005 che la squadra mobile di Caserta aveva successivamente trasmesso alla Dia. L’inchiesta «madre» era stata in un primo momento affidata a Raffaele Cantone, il pm antimafia molto apprezzato da Roberto Saviano che i Casalesi volevano far saltare in aria con il tritolo, e che per questo sarebbe poi stato trasferito a Roma al massimario della Corte di Cassazione.

La pubblicazione della notizia scatenava una polemica interna al partito di Di Pietro. L’onorevole Franco Barbato, esponente dell’ala più legalitaria e movimentista dell’Idv, attaccava frontalmente Porfidia dalle colonne del Corriere della Sera, sollecitando una riflessione interna al partito: «Se un giudice coraggioso come Raffaele Cantone ha messo sotto accusa Porfidia per il 416 bis, ovvero la criminalità organizzata di stampo camorristico, qualche domanda ce la dobbiamo porre». L’accusato, dal canto suo, reagiva alla notizia dimettendosi dal gruppo parlamentare dell’Italia dei valori, ma si dichiarava totalmente estraneo ai fatti: «Io non so niente di camorra … Barbato? Fa politica solo per avere visibilità». Nel partito prendeva le difese di Porfidia soprattutto Nello Formisano, che ingaggiava nei giorni seguenti una dura polemica con Barbato, accusato dal coordinatore regionale campano di «usare parole omertose verso i compagni del suo partito, della sua terra». Porfidia, ex Ccd, poi Udeur, oltre ad essere deputato è anche sindaco del piccolo comune di Recale, in provincia di Caserta. Eletto una prima volta nel 2002, è stato riconfermato primo cittadino nel 2007, battendo una coalizione di Centrosinistra. Nella sua giunta sono presenti tre assessori di Centrodestra, uno dei quali indagato per abusivismo edilizio.

Da un punto di vista giudiziario e, prima ancora, di etica pubblica, quello di Porfidia non è l’unico caso problematico che ha visto coinvolto il partito di Di Pietro in Campania. Alle politiche del 2008, nella lista di Idv per il Senato veniva inserito Domenico D’Elena, esponente della Dc di Pizza e come tale candidato sotto le insegne del gabbiano arcobaleno. Nell’ottobre del 1991 il prefetto di Caserta Corrado Catenacci aveva rimosso D’Elena da consigliere comunale di Grazzanise per rapporti con la camorra. Nell’agosto dell’anno successivo sarebbe stato tutto il consiglio comunale ad essere sciolto: secondo il prefetto erano stati accertati «condizionamenti dell’attività amministrativa ed infiltrazioni di elementi della malavita organizzata nel comune». D’Elena aveva precedenti per associazione a delinquere, concussione, emissione di assegni a vuoto e blocco stradale. Sempre nel casertano, il 22 aprile del 2006 veniva invece arrestato Gaetano Vatiero, segretario cittadino di Italia dei valori a Santa Maria Capua Vetere. Era accusato di aver favorito, in qualità di dirigente del settore servizi sociali del comune, l’aggiudicazione di un vantaggiosissimo appalto ad una società che gestiva una casa famiglia per bambini, della quale Vatiero avrebbe in seguito ottenuto cospicue quote.

Dal 2004 è iscritto al partito delle mani pulite anche Nicola Marrazzo, ex Dc poi passato ai Democratici, alla Margherita, a Rinnovamento Italiano e infine a Idv. Attualmente ricopre il ruolo di capogruppo in consiglio regionale. La sua famiglia possiede diverse imprese impegnate nel settore dei rifiuti, quattro delle quali si sono viste ritirare dalla Prefettura il certificato antimafia. All’origine della decisione, confermata anche dopo i ricorsi di Angelo e Domenico Marrazzo, i parenti più stretti di Nicola, vi sono i rapporti che legano i fratelli Marrazzo a Raffaele Giuliani, membro del clan dei Casalesi già condannato per associazione mafiosa. Maria Carmela Giuliani e Carmela Sangiulio, rispettivamente sorella e convivente del camorrista, risultano infatti essere socie in affari della famiglia del consigliere regionale di Idv. Nel 2006, il prefetto di Napoli Carlo Ferrigno, davanti alla commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha parlato di Angelo Marrazzo come di «persona coinvolta in procedimenti penali instaurati a carico del gruppo camorristico dei Casalesi». Infine, Marrazzo è stato uno dei protagonisti dello scandalo che, nell’ottobre del 1991, portò allo scioglimento per infiltrazioni mafiose dell’amministrazione comunale di Casandrino, in provincia di Napoli. La giunta Dc che governava il paese era in mano al clan camorristico capeggiato da Pasquale Puca, il quale era arrivato addirittura a far sequestrare l’assessore ai lavori pubblici Alfredo Di Lorenzo perché non gradiva il suo modo di gestire gli appalti. L’assessore, che subito dopo il rilascio aveva denunciato il fatto ai carabinieri, in seguito ritratterà, finendo sotto inchiesta per associazione a delinquere di stampo mafioso. La sua prudenza tuttavia sarà premiata: di lì a poco diventerà sindaco facendo il pieno di consensi. Anche i quattro assessori in carica al momento del sequestro, fra cui Nicola Marrazzo, negarono di aver mai ricevuto minacce dai clan.

Marrazzo è stato nominato capogruppo di Idv in consiglio regionale in seguito allo scandalo che aveva investito il suo predecessore, Cosimo Silvestro. Ex Ppi, poi Democrazia Europea, Repubblicani Democratici e infine Idv, Silvestro era finito sotto i riflettori nell’ottobre del 2008, quando il Corriere del Mezzogiorno aveva pubblicato la notizia che un imprenditore pomiglianese attivo nel settore della ristorazione, Ciro Campana, era un collaboratore della sua segreteria, con tanto di badge magnetico e possibilità di utilizzare l’auto blu. Campana, noto alle forze dell’ordine per le sue frequentazioni camorristiche e più volte fermato dai carabinieri in compagnia di pregiudicati, era stato in precedenza assessore nella giunta di Centrodestra che aveva governato il comune di Casalnuovo fino allo scioglimento per infiltrazioni mafiose. A Casalnuovo, grazie a connivenze con la pubblica amministrazione, erano stati costruiti ben 75 palazzi abusivi. Dopo la pubblicazione della notizia, Silvestro si autosospendeva, ma nel giro di un paio di settimane veniva riammesso da Formisano. Confluirà nel gruppo misto quando Di Pietro gli sostituirà Marrazzo nel ruolo di capogruppo.

In casi come questi, in genere, Tonino tira fuori la storia delle mele marce, o delle erbacce isolate da sradicare con pazienza contadina. Il ragionamento dell’ex magistrato suona più o meno così: tutti i partiti, prima o poi, finiscono per avere al loro interno casi di persone che hanno problemi con la giustizia, ma mentre altrove questi soggetti rimangono lì dove sono e anzi fanno carriera, in Idv si dimettono per farsi giudicare e tornano al loro posto solo se pienamente riabilitati. Ora, a parte la debolezza della tesi secondo cui bisogna aspettare l’intervento della magistratura per selezionare una classe dirigente degna di questo nome, rimane il fatto che il farsi da parte per difendersi in sede processuale non sembra una prassi universalmente adottata.

Di Orazio Schiavone, coordinatore provinciale di Foggia condannato ad un mese e dieci giorni di reclusione per esercizio abusivo della professione odontoiatrica, abbiamo già detto. Ma rimane al suo posto, ad esempio, anche Alessio Lizzano, capostruttura del consigliere regionale calabrese Maurizio Feraudo condannato ad un anno di reclusione con pena sospesa.

Feraudo era stato inquisito in seguito ad una denuncia presentata dal suo ex autista Andrea Scaglione. Ne era nato un procedimento in cui erano stati ipotizzati i reati di concussione, truffa e falso. Le accuse riguardavano somme versate dalla Regione come rimborsi spese per missioni e altri incarichi e la scelta del rito abbreviato aveva portato alla definizione del procedimento già in sede di udienza preliminare: il 14 novembre 2008 il gup Santo Melidona assolveva Feraudo dall’imputazione di truffa con la formula perché il fatto non sussiste, e da quella di falso perché il fatto non costituisce reato. Nel procedimento, tuttavia, erano coimputati insieme a Feraudo anche quattro uomini della sua struttura politica: Salvatore Straface, Pierluigi Candia, Salvatore Cozzolino e Alessio Lizzano. Tutti assolti ad eccezione di Lizzano, che veniva riconosciuto colpevole.

Pochi giorni prima del voto europeo di giugno Di Pietro faceva tappa in Calabria e Antonino Monteleone, giovane giornalista e blogger di Reggio, coglieva l’occasione per intervistarlo. Nel colloquio, pubblicato dal quotidiano on-line Strill.it, dopo aver affrontato vari temi di interesse generale l’attenzione dell’intervistatore finiva per concentrarsi sul caso Lizzano. Di fronte alle insistenti domande di Monteleone, l’ex magistrato perdeva la pazienza: «Rifiuto questa storia», sentenziava categorico Tonino «perché Lizzano non c’entra niente col partito. Non è stato candidato in alcun modo, ha solo partecipato ad una manifestazione elettorale». Giustamente, il giornalista faceva notare che a rappresentare un problema non era la partecipazione di Lizzano ad un comizio, ma il suo essere capostruttura di Feraudo, rimasto in carica anche dopo la condanna per truffa. Quanto alla sua estraneità a Idv, si trattava di un’affermazione che Monteleone avrebbe smentito nei giorni successivi, andando a scovare un documento dal quale emergeva chiaramente come Lizzano «delegato della lista “Italia dei Valori – Lista Di Pietro”» fosse stato incaricato di designare i rappresentanti di lista per le provinciali di Cosenza tenutesi il 6 e 7 giugno scorsi. A meno che non si tratti di un caso di omonimia, ci preme inoltre far rilevare che un Alessio Lizzano è stato candidato in Calabria dall’Italia dei valori alle politiche del 2006. Una candidatura antecedente alla condanna e senza dubbio «di servizio», visto che il nostro compariva in settima posizione, ma che dimostra pur sempre l’esistenza di un prolungato rapporto fra il capostruttura del consigliere Feraudo e l’Idv.

Lizzano, ad ogni modo, non è l’unico granchio preso dall’Idv in Calabria. Ultimo acquisto del partito di Di Pietro nella regione è il consigliere comunale di Cosenza Antonio Ciacco, avvocato proveniente dai Ds che il 26 dicembre del 1992 era stato arrestato per falso in atto pubblico e truffa aggravata: secondo l’accusa aveva falsificato una sentenza per farsi pagare da un cliente 140 milioni di lire. Ciacco, oltre ad essere l’attuale capogruppo di Idv al consiglio comunale di Cosenza, è stato anche candidato alle provinciali del giugno scorso. Elio Veltri, d’altra parte, ricorda ancora i comizi tenuti da Di Pietro ad Amantea a fianco del sindaco Franco La Rupa, che in quella sede veniva elogiato pubblicamente dall’ex magistrato. La Rupa, eletto consigliere regionale nel 2005 nelle fila dell’Udeur e poi passato al gruppo Calabria Popolare Democratica, è stato condannato per abuso d’ufficio e indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel 2008 è stato posto agli arresti domiciliari con l’accusa di voto di scambio politico mafioso.

Se ci spostiamo verso nord la situazione non sembra migliorare granché. Nel Lazio di Stefano Pedica, ad esempio, all’inizio del 2006 faceva il suo ingresso in Idv Paride Martella, per dieci anni membro dell’Udc di Pierferdinando Casini ed ex presidente di Centrodestra della Provincia di Latina. Mentre ricopriva quest’ultimo incarico, Martella era diventato anche presidente di Acqualatina Spa, società mista pubblico-privata affidataria della gestione del servizio idrico in territorio pontino. Essendo Acqualatina partecipata al 51 per cento dai comuni dell’Ambito Territoriale Ottimale competente e per il resto da un gruppo di privati guidati dalla multinazionale francese Veolia, nell’ottobre 2004 il Tribunale di Latina ravvisava un conflitto di interesse fra le due cariche che Martella concentrava nella sua persona. Ma la cosa non finiva lì, perché negli anni successivi le polemiche riguardanti la società presieduta dallo storico esponente della Dc di Sezze erano destinate ad aumentare. Con l’arrivo della gestione privata, infatti, gli abitanti della provincia vedevano aumentare vertiginosamente le proprie bollette: in molti comuni il costo dell’acqua subiva, nel giro di quattro anni, un incremento medio del 92%. Mentre i cittadini si organizzavano in comitati di difesa dell’acqua pubblica, potendo contare in alcuni casi sul sostegno degli amministratori locali, emergevano anche alcuni preoccupanti retroscena giudiziari. Il 23 gennaio 2008 la Guardia di Finanza poneva infatti agli arresti domiciliari Martella e altri cinque componenti del comitato esecutivo di Acqualatina. I reati ipotizzati dalla Procura del capoluogo pontino andavano dall’associazione a delinquere all’abuso d’ufficio, dalla frode nelle pubbliche forniture alla falsità ideologica in appalti pubblici, fino alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Gli inquirenti avevano riscontrato una serie di irregolarità negli affidamenti in-house (in pratica degli appalti senza gare) che i soci privati di Acqualatina assegnavano a società riconducibili al loro gruppo. Con un risultato: bilanci in rosso e danno per il socio pubblico, obbligato a ripianare a sue spese tutte le perdite. Dopo la pubblicazione della notizia, Martella veniva sospeso dal partito. Nei mesi successivi sarebbe comunque tornato in libertà su decisione del Riesame e della Cassazione, che respingeva il ricorso presentato dalla Procura di Latina. La sua permanenza in Idv gli aveva fruttato anche una nomina a consigliere giuridico del ministero delle infrastrutture, nel periodo in cui ai vertici del dicastero c’era Antonio Di Pietro.

Se è vero che il bubbone di Acqualatina era esploso con due anni di ritardo rispetto all’ingresso di Martella in Idv, in altre occasioni una più attenta opera di selezione da parte dei vertici laziali del partito avrebbe forse potuto evitare casi spiacevoli. Rimanendo in territorio pontino, va rilevata ad esempio la candidatura, alle ultime elezioni provinciali, dell’ex sindaco di Ponza Antonio Balzano. Al momento della composizione delle liste, Balzano era già stato rinviato a giudizio per una serie di illeciti connessi al suo ruolo di ex rappresentante legale della Segepo Srl, società interamente partecipata dal comune di Ponza e affidataria del servizio pubblico di smaltimento dei rifiuti. Ciononostante, il segretario regionale Pedica e quello provinciale De Amicis decidevano di farlo correre sotto le insegne di Idv nel collegio di Gaeta II. Pochi giorni dopo la chiusura delle urne, il 10 giugno 2009, l’ex sindaco veniva condannato a due anni e sei mesi di reclusione. Il tribunale lo aveva riconosciuto colpevole dei reati di danneggiamento, inquinamento ambientale di una zona sottoposta a vincolo e peculato. Il mese successivo, alla sentenza penale si aggiungeva quella della Corte dei Conti, che condannava Balzano a risarcire l’ente di cui era stato massimo rappresentante per una cifra pari a 57.730 euro.

Talvolta le magagne giudiziarie arrivano a colpire anche i dipietristi della prima ora. È stato il caso, qualche anno fa, di Rudy D’Amico, uno dei 248 soci fondatori dell’Italia dei valori a Sansepolcro. Nel maggio 2006, D’Amico si dimetteva da assessore all’ambiente del comune di Pescara dopo aver appreso di essere indagato nell’ambito dell’inchiesta «Green Connection». Secondo il Pm Filippo Guerra, in città era operante un’associazione per delinquere finalizzata alla gestione illegale degli appalti relativi al verde pubblico. Le cooperative sociali che ne facevano parte avevano siglato tra loro un vero e proprio patto di spartizione di lavori e servizi pubblici appaltati dalla pubblica amministrazione pescarese, e in alcuni casi il gruppo si sarebbe servito anche del ricorso alla violenza, organizzando spedizioni punitive per scoraggiare la partecipazione alle gare di società estranee al «cartello». Tra i responsabili delle cooperative c’erano anche un pluripregiudicato abruzzese e un imprenditore calabrese. Sempre secondo i magistrati, il ruolo di D’Amico sarebbe stato quello di coprire questo sistema criminale omettendo i controlli e favorendo l’attribuzione degli appalti alle società implicate nell’inchiesta.

A Venafro, piccolo comune del Molise, l’Italia dei valori governa insieme al Centrodestra. Sponsor dell’anomala coalizione, che ricorda da vicino gli esperimenti in vitro di Formisano, è il consigliere regionale di Idv Nicandro Ottaviano, che proprio di Venafro è originario. Nel febbraio 2009 La Voce delle Voci ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica la situazione da Far West in cui versa la cittadina molisana. Dall’inchiesta del mensile napoletano è emerso soprattutto un ricorso diffuso all’abuso edilizio, dal quale non sarebbero esenti neanche i notabili del luogo e, fra questi, lo stesso Ottaviano. La villa in cui il consigliere regionale di Idv abita insieme alla moglie sarebbe infatti sconosciuta al catasto: su un terreno classificato come «seminativo», i coniugi Ottaviano avrebbero fatto edificare la propria abitazione in 18 mesi, dando avvio ai lavori in coincidenza con l’elezione di Nicandro in consiglio regionale. Fondamentale, per la buona riuscita dell’operazione, sarebbe stata la complicità degli uffici competenti. A Venafro il responsabile dell’Ufficio urbanistica, cioè il funzionario che dovrebbe verificare gli abusi edilizi, è il suocero di Adriano Iannaccone, assessore comunale di Idv.

Nella Liguria dei Paladini, Tuvè e Cosma, il 3 ottobre 2007 finiva agli arresti domiciliari Gustavo Garifo, funzionario della polizia municipale e capogruppo dell’Italia dei valori al consiglio provinciale di Genova. A chiedere la misura cautelare era stato il pm Francesco Pinto, che indagava sul consigliere di Idv dal mese di luglio. Garifo era accusato di aver rubato parte del denaro contante versato all’Ufficio contravvenzioni dai cittadini che andavano a pagare le multe. In qualità di responsabile del servizio cassa entrava nel sistema informatico grazie alla password in suo possesso, modificava la ricevuta elettronica della contravvenzione per far figurare un importo minore di quello effettivamente versato e intascava la differenza. In tal modo si sarebbe impossessato, nell’arco di un anno, di circa 15.000 euro. Secondo Nello Di Nardo, all’epoca dei fatti responsabile enti locali di Idv, Garifo non era mai stato iscritto al partito, ed era stato candidato come responsabile di un’associazione di animalisti. La sua elezione era oltretutto illegittima, in quanto dovuta ad un errore nel conteggio delle schede. Di lì a poco, in effetti, il Tar avrebbe dichiarato decaduto il consigliere, al cui posto subentrava Stefano Ferretti.

Ligure e animalista è anche il consigliere comunale di Genova Andrea Proto, che a febbraio 2008 è stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione per aver inserito, tra le firme a sostegno della propria lista, anche quella di un uomo in realtà deceduto da nove mesi. La condanna è arrivata dopo che Proto ha confessato, patteggiando la pena. Nel comunicato trasmesso successivamente ai giornali per spiegare la sua situazione, il consigliere comunale parlava di una «storia che fa tenerezza». Ecco la sua versione: «Avevo dato un foglio ad un’amica, che lo passò ad un’altra amica, che lo portò a casa per fare firmare la madre, che firmò, che pensando di fare una cosa bella aggiunse la firma del marito, che non c’era più». Dopo l’incidente, Proto è rimasto in carica e siede tuttora a Palazzo Tursi.

Sempre in Liguria, ma stavolta nell’estremo levante, a La Spezia, il partito di Di Pietro è stato scosso all’inizio del 2009 da uno scandalo che ha travolto il presidente del consiglio comunale Loriano Isolabella. Ex Dc, già assessore regionale al bilancio, poi esponente Ppi, Forza Italia, Ccd, Udeur e infine Idv, con il nuovo anno Isolabella andava in pensione e subito firmava un contratto da dirigente con lo studio di un amico commercialista, anch’egli consigliere comunale dell’Idv in quel di Sarzana. La retribuzione concordata era pari a 9.650 euro mensili. Fino a qui, niente di strano. Il problema, da un punto di vista politico e istituzionale, nasceva dal fatto che Isolabella, impegnato in comune, in studio non andava praticamente mai, motivo per cui l’amministrazione era tenuta, a norma di legge, a rimborsare al suo datore di lavoro le assenze che il nostro collezionava in ragione dei suoi impegni istituzionali. Il comune, in sostanza, si era trovato a dover pagare per Isolabella qualcosa come 184.000 euro entro il 2009. Mentre l’opposizione di Centrodestra, nella persona del capogruppo di An Fabio Cenerini, denunciava pubblicamente la cosa e preparava esposti da consegnare in Procura e alla Corte dei Conti, la maggioranza di Centrosinistra convocava il presidente del consiglio comunale spezzino per convincerlo a ridurre le spese. Il neopensionato, bontà sua, acconsentiva a diminuire la propria retribuzione oraria dai 118 euro concordati con l’amico Giuseppe Baviera a 112,11 euro: sei euro sacrificati sull’altare della correttezza e della trasparenza. L’intera dinamica della vicenda, ovviamente, giustificava qualche sospetto circa l’entità dello stipendio dichiarato da Isolabella, e finiva col costituire un serio motivo di imbarazzo per i suoi colleghi di coalizione e di partito. Lo scorso marzo, Isolabella e Baviera hanno abbandonato l’Idv.

Casi come quelli di Garifo, Proto e Isolabella sono dei bruscolini, se paragonati all’errore madornale che Di Pietro stava per commettere in Liguria nel 2001. Alle elezioni politiche tenutesi quell’anno l’ex magistrato aveva tutta l’intenzione di inserire come capolista a Genova Filippo De Jorio, avvocato di estrema destra vicinissimo a Giulio Andreotti il cui nome era stato rinvenuto anni prima negli elenchi degli appartenenti alla P2 (tessera numero 1965, fascicolo 511). De Jorio, che alle europee del 1999 si era candidato con il Movimento Sociale di Pino Rauti, era stato anche accusato di aver avuto un ruolo di primo piano nel Golpe Borghese del 7 dicembre 1970. A nulla erano valsi gli allarmi lanciati in privato a Di Pietro dal segretario genovese dell’Idv Christian Abbondanza: dal processo sul fallito putsch militare – celebratosi dopo le indagini condotte dal Pm Claudio Vitalone, anche lui uomo di Andreotti – De Jorio era uscito con un’assoluzione, e tanto bastava all’ex magistrato per candidarlo. A quanti, nel partito genovese, gli avevano manifestato la propria opposizione ad una simile decisione, Tonino aveva risposto con il suo consueto aplomb: «Se non vi va bene, ve ne potete pure andare!». Alla fine, complice anche un’intervista rilasciata da Paolo Flores d’Arcais al Secolo XIX, nella quale l’inserimento in lista di De Jorio veniva bollato come un «suicidio politico», Di Pietro avrebbe desistito, congelando la candidatura e negando di essere mai stato al corrente dei trascorsi dell’avvocato. La disavventura non impediva comunque all’ex simbolo di Mani Pulite, che oggi non perde occasione per tuonare contro la deriva piduista in atto, di candidare cinque anni più tardi alla Camera dei deputati Pino Aleffi, anche lui presente nelle liste di Castiglion Fibocchi (P2).

Per concludere: frammenti dissidenti

Il 27 e 28 settembre del 2008 si è tenuto a Latina il congresso provinciale dell’Italia dei valori, che ha eletto coordinatore Enzo De Amicis. L’esito e lo svolgimento dell’assise sono stati oggetto di contestazioni da parte di un gruppo di iscritti provenienti da varie località dell’agro pontino, i quali hanno in seguito deciso di presentare ricorso agli organi di garanzia. Non ci interessa, in questa sede, entrare nel merito del contenzioso, quanto menzionare il fatto che, dopo quell’azione comune, i membri del gruppo si sono interrogati sul da farsi e hanno deciso di non perdersi di vista. È nata così la Rete dei Valori, un’associazione composta inizialmente solo da iscritti di Idv, e in seguito apertasi anche ai non iscritti. «La degenerazione della politica a mera portatrice di interessi “particolari” e “personali”», scrivono nel loro manifesto programmatico gli aderenti alla Rete «ha portato all’allontanamento della gente dalla vita pubblica. Unica possibilità di un recupero del ruolo della politica è un riavvicinamento dei cittadini alla politica attiva e ai partiti, strumento democratico previsto dalla costituzione; questo può avvenire soltanto con una forte azione etica finalizzata alla ristrutturazione di essi e delle loro organizzazioni interne». In Idv, a quanto pare, di spazio per un’azione di questo tipo al momento ce n’è ben poco, e infatti i membri della Rete, che in un primo tempo avevano tentato di costituirsi come minoranza interna là dove erano presenti, hanno dovuto desistere di fronte al boicottaggio dei piani alti del partito. In teoria sarebbe sufficiente raccogliere una decina di iscritti per aprire un nuovo circolo di Idv, ma in pratica la cosa è tutt’altro che semplice, visto che ad avere l’ultima parola sulla costituzione delle nuove sezioni sono i vertici regionali e nazionali. Ai quali i nuovi iscritti, sembra di capire, piacciono solo se arrivano accompagnati da uno sponsor gradito e ben individuabile.

«Attualmente siamo presenti soprattutto nel Lazio», spiega Pasquale Valente, per anni responsabile del circolo Idv di Formia e oggi portavoce della Rete dei Valori «ma abbiamo cominciato ad espanderci anche in altre parti d’Italia, in particolare nel Veneto. Non bisogna dimenticare comunque che siamo ancora una realtà molto giovane, nata da circa otto mesi». Alle ultime provinciali di Latina, mentre l’Idv ha sostenuto come candidato presidente Sesa Amici, un gruppo di iscritti «dissidenti» del partito di Di Pietro, alcuni dei quali appartenenti alla Rete dei Valori, si sono candidati nella lista «Provincia futura», che sosteneva Domenico Guidi, un politico onesto, noto soprattutto per le sue battaglie contro Acqualatina. La risposta di De Amicis è arrivata circa due mesi dopo, il 6 agosto, quando due dei membri di Idv che si erano schierati con Guidi sono stati sospesi dal partito.

Qualcosa di simile è avvenuto anche in provincia di Lucca, dove a giugno si sono tenute le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Capannori. A Lucca, la decisione di commissariare la federazione provinciale, presa nel cuor della notte dal coordinatore regionale Fedeli, non solo ha impedito che si celebrasse al momento opportuno il congresso provinciale, privando così gli iscritti lucchesi del diritto di eleggere i propri delegati per la successiva assise regionale, ma ha anche implicato il congelamento di più di cento tessere nel 2009. Le richieste di iscrizione sono state raccolte e inviate nei tempi e nei modi stabiliti dall’ex segretario provinciale Belli e dal presidente del circolo di Lucca Bruno Rossi, ma ad oggi non se ne sa più nulla.

Non potendo più fare politica a livello territoriale, né partecipare alle competizioni elettorali utilizzando il simbolo di Idv, i cento e passa dissidenti hanno dato vita ad una associazione, Ideali e Valori. «L’esigenza che ci ha spinto a fare questo passo», afferma il dottor Rossi «è stata quella di non disperdere il lavoro fatto in questi anni. Siamo un gruppo coeso, tutta gente motivata, che fa politica per cambiare le cose e non per fare carriera. Eppure, ad oggi, non ci è stata data la possibilità di riscriverci a quello che consideriamo il nostro partito. L’idea di rimanercene con le mani in mano in attesa di sapere quale sarebbe stata la nostra fine non ci andava».

Stanti così le cose, alle comunali di Capannori si è creata una situazione che ricorda da vicino quella della provincia di Latina. Fra le liste che sostenevano il candidato sindaco del Centrosinistra Giorgio Del Ghingaro, c’era anche quella dei «Moderati», che i membri di Ideali e Valori hanno deciso di appoggiare. «Non potendoci candidare nelle liste di Idv», spiega Rossi «abbiamo pensato di schierarci con i Moderati, invitando a votare per loro e in alcuni casi trovando ospitalità nella loro lista. L’abbiamo voluto fare anche per contarci e per dimostrare che, in provincia di Lucca, l’Italia dei valori siamo noi». Durante la campagna elettorale l’Idv «ufficiale», anch’essa schierata con Del Ghingaro, accettava la sfida e si dava un gran da fare per parare il colpo, scomodando per l’occasione lo stesso Di Pietro, arrivato a Capannori per tenere un comizio. Le urne, però, davano ragione ai dissidenti: mentre i Moderati prendevano il 6,6%, pari a 1.675 voti, ottenendo 3 seggi in consiglio comunale, l’Idv si fermava all’1,9% e non eleggeva neanche un consigliere. Dei 478 voti ottenuti dall’Italia dei valori, inoltre, solo 80 erano accompagnati dall’espressione di una preferenza, e la capolista Silvia Bulckaen raccoglieva personalmente 19 voti. «Un’ulteriore dimostrazione», conclude Rossi «che il commissariamento è stato un atto sconsiderato, un vero e proprio arbitrio nei confronti di un partito vivo e ben radicato sul territorio». Si tenga infine presente che, a Capannori, l’Idv ha preso alle europee il 7,3%, ovvero circa 1.400 voti in più di quelli che ha preso alle comunali.

Abbiamo citato i due casi di Lucca e di Latina perché ci sembrano emblematici della situazione di impasse che il partito vive in diverse parti d’Italia, una situazione di cui abbiamo cercato di dar conto con la nostra indagine. Se persone come Pasquale Valente, Massimo Belli e Bruno Rossi, che per anni hanno dedicato tempo ed energie ad un progetto politico in cui credevano, sono costrette a fondare associazioni al di fuori di Idv, evidentemente c’è qualcosa che non va. Se poi consideriamo che un partito fondato per difendere valori come quelli di legalità, trasparenza e moralità pubblica, troppo spesso si dimostra estremamente tollerante nei confronti di comportamenti individuali e di scelte politiche che contrastano con quegli stessi valori, il problema ci sembra assumere dimensioni ancora maggiori. Se, infine, ci mettiamo nei panni del singolo iscritto che vede la propria dedizione e il proprio slancio etico finire al servizio dell’arrivista e del carrierista di turno, comprendiamo perché molti abbiano deciso di lasciarsi alle spalle un’esperienza di impegno attivo in politica di cui oggi c’è estremo bisogno. Permettere che sempre più persone vadano ad ingrossare le fila dei cinici e dei disillusi, quale che sia il partito in cui ciò avviene, non ci sembra un gran servizio reso alla collettività, ma piuttosto un ostacolo – evitabile - verso la costruzione di quell’alternativa che molti attendono con impazienza. (Marco Zerbino)

Micromega, 5/2009