|
Home | Per conoscermi | News | Editoriali e Comunicati | Incontri ed eventi | Rassegna Stampa | Archivio Foto e Video |
EDITORIALI E COMUNICATI
n. 2496
del 21/11/2009 DIAMO I NUMERI?
indietro »
Lo confesso. Pur avendo sempre dimostrato, fin da piccolo, una grande passione per i numeri e la statistica riuscendo a trovare sempre il risultato di un’espressione o la soluzione del problema, ora sono in estrema difficoltà. Non ne vengo a capo! Solo pochi mesi fa, verso la metà di giugno, l’Ocse ci rendeva noto che l’economia italiana è «in profonda recessione» con un Pil in calo quest’anno del 5,3% e una prospettiva di lenta ripresa nel 2010 (+ 0,4%). Il deficit italiano raggiungerà il 6% del Pil nel 2010 mentre il debito pubblico supererà il 115% per sfiorare poi il 120%. Preoccupanti sono le stime sulla disoccupazione che dovrebbe toccare il 10% quest’anno e continuerà a crescere anche l’anno prossimo. «Non c’è spazio – sostengono gli analisti – per aumentare il deficit del settore pubblico oltre quanto già comportano gli stabilizzatori automatici». Una visione alquanto preoccupante che delinea un futuro, per il nostro Paese, denso di incognite soprattutto per le nuove generazioni in cerca di lavoro stabile. I cittadini italiani, i pochi che potevano ancora permetterselo, fanno appena in tempo a tornare dalle ferie, trascorse preferibilmente nel nostro Paese e soprattutto nei più vicini luoghi di mare o di montagna, che sempre l’Ocse, solo qualche settimana fa, ci rende noto che l’Italia è il paese con il maggiore rimbalzo dell’attività economica rispetto a settembre 2008 (+ 10,8 punti) seguita da Francia, Cina e Gran Bretagna, dati che danno l’Italia in pole position quanto a ripresa rispetto alla crisi. La cosa è talmente eclatante che spinge il premier Silvio Berlusconi a dichiarare che «non possiamo lamentarci, non va malissimo. Ci sono forti segnali di ripresa, basta vedere i dati dell’Ocse. Stiamo procedendo bene nonostante il momento non sia certamente dei migliori». Il tutto «mi fa dire che, nel nostro Paese, c’è un diffuso ottimismo». Solo pochi giorni fa, ancora l’Ocse, ci fa invece sapere che in l’Italia l’economia è tornata a crescere, ma la durata e la forza della ripresa restano incerte e sul Paese grava ancora il fardello di un debito pubblico alle stelle e quello di una disoccupazione che continuerà a crescere ancora almeno fino al 2011. Al governo spetta dunque il compito di fare ulteriori sforzi sulla via del risanamento tenendo conto che strumenti, quali ad esempio lo scudo fiscale, devono essere considerati «misure straordinarie altrimenti i contribuenti potrebbero pensare ad amnistie continue». Le previsioni sono più penalizzanti per la crescita del 2011 quando l’Italia, con un aumento del 1,5%, sarà in coda, sotto la media europea pari al 1,9% colpa «del solito, annoso problema: l’Italia cresce poco perché la produttività è molto bassa». C’è la necessità «di sforzi importanti di risanamento a partire dal 2011 quando la ripresa tornerà». Nel giro quindi di soli pochi mesi, per ben tre volte l’Ocse si è pronunciata sulla crescita economica dell’Italia e sulle sue speranze di uscita dalla crisi con giudizi e pareri difficili da conciliare e, francamente, vi confesso la mia enorme perplessità nel leggere queste dichiarazioni contrastanti. Il cittadino italiano che si ritrova, tutti i giorni, a fare i conti con un borsello della spesa che si alleggerisce sempre più, non sa che pesci pigliare, che atteggiamento assumere, che cosa pensare del suo futuro, che prospettiva avranno i propri figli. E allora mi chiedo: che valore hanno questi numeri? Come, in realtà, il nostro Paese procede nella crisi globale? Quale grado di affidabilità hanno queste dichiarazioni? C’è da fidarsi?.... O la logica del risparmio – quando c’è - sotto il materasso è sempre la strategia più sicura? Se ricordo che solo un anno fa le maggiori società di rating (Mooody’s, Standard & Poor’s, Fitch), avevano attribuito a Lehman Brothers un rating molto elevato sintomo di elevata affidabilità finanziaria e di possibilità di rimborsare il prestito - in altre parole, con questi rating, il rischio di fallimento di Lehman era ritenuto molto basso cioè il 4% di possibilità di fallire nei prossimi 100 anni – salvo poi costatarne il crac finanziario con immediate gravi ripercussioni sui piccoli e grandi investitori, mi viene spontaneo pensare che piuttosto che affidarsi ad esimi analisti e illustri economisti, converrebbe forse confidare sul buon senso e la sana prudenza del “nonno” che di esperienza, seppur umile, in materia ne ha sempre avuta da vendere…
Armando Della Bella |