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EDITORIALI E COMUNICATI
n. 2507
del 19/03/2010 LA LOCOMOTIVA D'ITALIA
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La locomotiva d'Italia. Così fino a poco tempo fa veniva definito il Nord-Est. Un tessuto sociale costituito da piccole e medie imprese, numerosi artigiani, titolari di imprese di famiglia e responsabili di microsistemi produttivi di due o tre collaboratori che, utilizzando anche mano d'opera extracomunitaria, produceva ricchezza, beni e servizi per la gran parte del Paese e non solo. Un modello d'impresa che diveniva punto di riferimento per la nuova imprenditoria. La qualità e l'innovazione dei prodotti erano fattori di largo successo anche oltre confine. Un'economia trainante che attirava gli investimenti e la mano d'opera da ogni dove. La disoccupazione era ridotta ai minimi livelli. Un benessere diffuso ed un welfare di buona qualità anche grazie alla grande diffusione del volontariato. Persone e titolari d'impresa che spesso fanno della discrezione una loro virtù. Non amano le luci della ribalta e agli studi televisivi preferiscono gli uffici ricavati in capannoni, scantinati e retrobottega. Danno del “tu” ai loro collaboratori e dipendenti e spesso ne divengono padrini o madrine di battesimo, comunione e cresima dei loro figli. Le famiglie si conoscono, si frequentano, si salutano la domenica sulla piazza del paese. Sono i primi ad arrivare sul posto di lavoro, sono gli ultimi ad uscirne. Di fronte alle difficoltà non tendono la mano e non chiedono sovvenzioni ma si rimboccano le maniche e cercano soluzioni alternative. Sono spesso operai o ex dipendenti che, “imparata l'arte e messa da parte”, ora la mettono in pratica. L'orgoglio imprenditoriale è per loro un valore da coltivare. Un fallimento è un disonore da evitare spesso ad una dinastia di molte generazioni. Il più delle volte la famiglia si confonde con l'impresa e si scambiano i ruoli: l'impresa diviene la tua famiglia e la tua famiglia si trasforma nell'impresa. Danno molta importanza al denaro, ne conoscono l'importanza ed il valore e spesso retribuiscono per il giusto. L'utile è spesso reinvestito nell'azienda e cercano di garantire sempre prima lo stipendio ai propri dipendenti, poi a loro. Di solito lavorano per conto terzi e la flessibilità e la velocità di adattamento alle nuove mode e alle nuove tecnologie è la loro forza. Di loro quasi nessuno parla. Sono invisibili. Eppure ora, in questo momento di profonda crisi nazionale ed internazionale qualcuno si accorge di questa presenza. Un'ondata di suicidi dal 2008 in poi: 18 vite tragicamente spezzate. Sono giovani e meno giovani, dai quaranta ai sessant'anni. C'è chi si è impiccato, chi si è gettato sotto un treno, chi in diretta telefonica ha avvisato i propri famigliari che si uccideva lanciandosi con la propria automobile contro un camion, chi ha ingoiato un bicchiere di soda caustica, chi si è dato fuoco nella sua auto, chi si è tagliato le vene, chi si è sparato un colpo di fucile alla gola, chi si è suicidato con il gas di scarico della propria vettura, chi si è gettato nella acque del Piovego. E sono quasi sempre gli stessi i motivi giustificativi del suicidio: il non poter onorare gli stipendi, il non voler licenziare i propri dipendenti di solito poco più delle dita di una mano, lo sprofondare nel baratro dei debiti, il non avere più commesse, il non volersi “far pagare le bollette”, il non mettere in cassa integrazione gli operai, i gravi problemi economici che mettono in crisi l'attività. Famiglie distrutte, figli resi orfani da una crisi economica e finanziaria strisciante e da un orgoglio indomito. La disperazione e la solitudine fanno il resto. Lo Stato è per lo più assente e c'è una pubblica amministrazione che non paga o se paga lo fa con tempi biblici. Ma i dipendenti, invece, vanno pagati ogni mese. E' uno drammatico spaccato del Paese, meno noto, che a cascata condiziona le famiglie di tanti lavoratori e che si aggiunge ai problemi dei disoccupati, dei cassaintegrati, delle famiglie che a fatica raggiungono la fine del mese, del precariato cronico, del basso potere d'acquisto di salari, stipendi e pensioni. E per ora, di quel benedetto spiraglio di luce, non si sorge neppure un barlume...
Armando Della Bella |