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EDITORIALI E COMUNICATI
n. 968
del 29/07/2005 GLI “ESPULSI” DELLA POLITICA… IN LIBERTA’!
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La politica è certamente una delle attività umane più curiose ed al tempo stesso affascinante, poiché chi se ne occupa vive nella libertà della condizione lavorativa, non trovando alcuna corrispondenza tra i mestieri salariali usuali e tanto meno fra le professioni riconosciute. Molti coltivano l’opinione che si tratti di un’arte. Altri (il minor numero) si cullano nell’illusione che essa consista essenzialmente nell’affermazione delle idee. Gli accademici conferiscono al laureato in scienze politiche, che frequenta i medesimi corridoi della sociologia, della giurisprudenza e dell’economia non la laurea di “politico”, ma un dottorato incerto fra le altre professioni compatibili; non esistendo uno specifico albo professionale. Sicché non ci si deve stupire degli errori politici, dacché chi li compie non sa bene neppure lui in quale violazione incorra e perché lo faccia (a parte la retorica), se per la gratificazione personale, il guadagno, la bramosia di potere od il desiderio di apparire, non riuscendo a tirare calci ad un pallone per meritare simili tributi di notorietà. Gli antichi greci riconoscevano i politici in quel gruppetto di persone che, già allora, confabulavano sulla Polis, senza sapere bene, neppure loro, di che cosa effettivamente si occupassero per campare o vivere di gratificazioni, riconoscimenti, tangenti… Un male antico quanto il mondo. Lo ha detto Platone (De Repubblica). Parlare quindi di espulsi della politica ed avere preoccupazione di costoro che senso ha? Nessuno! Come non ha senso neppure temere il dialogo politico degli espulsi. Come possono, difatti, costoro ritenersi tali se non hanno giammai avuto una precisa collocazione mestierante o professionale in politica? Diverso è il caso degli espulsi dal “partito politico”, e cioè da quella organizzazione che la legge identifica e regolamenta sul piano del diritto come una associazione libera di cittadini. L’espulsione, in tal caso, deve essere motivata e formalmente comunicata all’interessato, dacché l’associato espulso è legato dal contratto associativo di tipo aperto, per effetto dell’atto formale di adesione che rappresenta appunto la manifestazione negoziale di appartenenza attraverso il quale il disoccupato politico trova riconoscimento contrattuale della propria attività, partecipativa e responsabile nella compagine organizzativa di tipo aperto, democratica e pluralista; come recita la nostra Carta costituzionale: tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Organizzazione che si frappone fra le idee politiche del singolo od altrimenti la sua sportiva bramosia di notorietà e lo Stato. Ecco allora che il partito politico ben può parafrasarsi ad una sorta di ufficio di collocamento, tant’è che al pari di quest’ultimo mostra tutti i segni del degrado, per il disoccupato politico in aspirazione appunto di collocamento. In tale ambito l’espulso dal partito politico è allora parificabile, sul piano del diritto, ad un reietto della associazione politica ristretta, cui non compete più parlare a nome del partito (gruppo contrattualmente associativo), ma non di politica o di critica politica in assetto occupazionale, con tutta la retorica possibile, per il bene della Polis o del Paese additando i “Partiti personali” come pseudo-organizzazioni sceleris in contrasto col precetto costituzionale del metodo democratico, e partecipazione aperta. In tal caso a frapporsi fra le idee personali e lo Stato non sarebbe più l’organizzazione democratica, ma il padrone delle idee, l’individuo sceleris, l’enfant terribile della politica (per non dire altro). Lo spunto viene ancora una volta, evidentemente si presta più degli altri (più di “Forza Berlusconi”) e come tale sotto osservazione critica, da un comunicato che attenti amici della politica sottopongono a questa area critica: “il manifesto del tesseramento dell’Italia dei Valori”. Scrive il Presidente di questo partito, a nostro modo di vedere, in assoluto dispregio delle disposizioni statutarie IDV e della legge: “L’adesione al partito è di tipo politico e non associativo e quindi non comporta in capo all’aderente alcuna responsabilità nei confronti dei soci fondatori del partito né limita in alcun modo i loro diritti”. Come dire, disoccupato della politica eri e tale rimani. Aderisci solo politicamente, ma l’organizzazione è “cosa nostra”. Non ti preoccupare, però, perché nei nostri confronti non sei responsabile di alcunché. E’ un po’ come venire al mondo col peccato originale, da un lato il prete con riti e preghiere monda l’individuo dall’altro il Partito politico rinfranca l’adepto dall’esonero preventivo di ogni responsabilità. Come a dire: stai tranquillo amico perché tu non hai nulla di che rispondere nei confronti dei soci fondatori, o quella ristretta cerchia di amici al bar o cupolanti della politica che manifestano ambigue intenzioni di uguaglianza: “qui siamo tutti uguali, ma taluni sono più uguali degli altri…”, nella felice intuizione critica al comunismo profetizzata da George Orwell (La fattoria degli animali). Sicché l’ingresso altrui non può e non deve costituire alcuna limitazione dei “loro” (l’equivoco è consentito, poiché non si è capito bene il soggetto) diritti. Ciò a conferma dei riservati ed arbitrari intenti personali, in palese contrasto col dibattito giurisprudenziale e pensiero della migliore dottrina che equiparano il partito politico ad una associazione sul piano del diritto, ove la posizione di associato deriva automaticamente al sottoscrittore dal negozio di ammissione (tesseramento o richiesta di adesione), accettata dall’associazione. Ecco allora il primo dei mali della politica e sociali del nostro tempo: il proliferare dei “partiti personali”. Al di là dell’etichettatura giornalistica, frutto appunto dei tempi, le subdole organizzazioni dei partiti personali sono una vera e propria scelleratezza sul piano del diritto. L’auspicio è che si giunga anche in Italia ad una revisione funzionale delle associazioni partitiche sia in quanto strutturali alle identità ed ambizioni politiche dei singoli e organismi democratici, sia in quanto funzionali alla organizzazione dello Stato. Quando la “tessera” di partito, fra gli altri effetti, rappresentava per i più l’identità di colui che ha accasato le proprie idee, il “vilipendio” della stessa veniva considerato come la più grave manifestazione di dispregio delle proprie ed altrui idee. Negli anni cinquanta, mentre i contadini dell’Abruzzo montano, della Maremma Toscana, delle Puglie… Scioperavano per protesta contro la politica agricola dei rispettivi Enti agrari, i più accalorati della politica arrivarono perfino a stracciare in pubblico le tessere del partito comunista, della Democrazia Cristina, del Partito Socialista… Ebbene, a distanza di cinquanta anni, la politica dei partiti ha cambiato strategia, per non vedersi oltraggiata in piazza. Italia dei Valori, ad esempio, ha riscosso le quote di tesseramento degli aderenti “politici”, ma non ha consegnato loro la tessera attestante l’identità associativa. Il rischio dell’oltraggio è stato così accantonato. E’ accaduto all’IDV nel Lazio allorché le tessere sono state pagate, ma non sono state consegnate all’interessato. Non c’è da stupirsi di queste manifestazioni di degrado delle idee, della loro identità, delle impunite appropriazioni indebite… Ma cosa volete che contino queste piccole repressioni degli ideali se i Leader politici si permettono impunemente di dire al Popolo sovrano che con la “Bandiera italiana ci si puliscono il…”. Non abbiate allora timore della vostra voce politica, non temete la vostra condizione privilegiata di espulsi poiché sono gli altri, semmai, che devono render conto delle loro scelleratezze se non altro dinanzi al “Santo Sepolcro”. Mario avv Di Domenico - Presidente Movimento dei Valori |